“L'animazione è roba per bambini”. Tutti abbiamo sentito questa frase almeno una volta. Ed ogni volta mi chiedo come sia possibile che questo preconcetto così superficiale continui a permanere nella mente di così tante persone. L'animazione è stata utilizzata in modo “adulto” fin dall'inizio, che si tratti degli animatori sperimentali dei primi del '900 come Fishinger o Léger o dell'irriverenza di gente come Tex Avery, che fin dagli anni '30 hanno spinto la comicità a cartoni animati al limite della censura. Ma è solo negli anni '90 che l'animazione prettamente adulta riesce finalmente a imporsi sul pubblico, e per la precisione questo avviene in TV: grazie all'imprevisto successo dei Simpson (tra le serie più importanti della storia della televisione, per vari motivi) l'America ha visto nascere una vera e propria ondata di materiale animato orientato a un pubblico adulto, con serie come South Park, I Griffin, Beavis & Butthead e tantissime altre che sarebbe impossibile citare nella loro totalità e che hanno spinto ed esplorato le possibilità del mezzo animazione.
E al cinema? Beh, gli anni '90 furono il periodo del cosiddetto Rinascimento Disney, in cui l'azienda del Topo era tornata a dominare il mercato mondiale del cinema d'animazione dopo un periodo poco fiorente. Ma non tutto fu rose e fiori. La travagliata produzione del più grande successo del periodo, Il re leone, aveva causato uno scisma nella compagnia, con il responsabile del reparto animazione, l'ambizioso e irremovibile Jeffrey Katzenberg, che lasciò la Disney con risentimento e piani di vendetta verso coloro che, secondo lui, non gli avevano riconosciuto i meriti che aveva. Fu così che nel 1997 nacque la DreamWorks, fondata da Katzenberg, Steven Spielberg (scusate se è poco) e il magnate dell'industria discografica David Geffen: l'azienda fece della maturità il suo tratto distintivo, come a volersi distanziare dall'aura fiabesca e “innocente” delle pellicole targate Disney. Dopo aver messo a segno un pugno di perle che si misero senza problemi in competizione con le coeve uscite disneyane (addirittura il loro primo film, Z la formica, era un rifacimento della stessa identica premessa di A Bug's Life ed uscì nello stesso identico giorno!), nel 2001 i tempi furono maturi per la sferzata definitiva di Katzenberg e soci allo strapotere della casa del Topo.
Shrek, diretto da Andrew Adamson e Vicky Jenson, è molto più di un film. Rappresenta un grosso passo avanti nella concezione di certi topòi narrativi, di certi archetipi e di certe dinamiche tipici della concezione disneyana che raramente erano stati messi in discussione. Ma la cosa che rende Shrek così importante è che fa tutto in modo metanarrativo: lo spettatore sa perfettamente cosa il film sta parodiando, capisce senza margine di dubbio cosa la sua satira prende di mira, poiché questa gioca sapientemente su elementi a cui è stato esposto fin dall'infanzia e che quindi conosce molto bene. Del resto, chi può saperlo meglio di qualcuno che è stato capo dell'azienda che per decenni è stato il veicolo principale di tutti questi elementi?
E così, abbiamo tutte le caratteristiche della fiaba, ma ribaltate e ridicolizzate: l'eroe senza macchia e senza paura cede il posto a un antieroe che in qualsiasi altra fiaba sarebbe stato l'antagonista, un orco rozzo, egoista e scontroso; l'aiutante dell'eroe è un asino parlante che più che supportare il protagonista lo manda sui nervi con la sua logorrea; la principessa da salvare è una donna che cerca di conformarsi agli stereotipi di genere, aspettando passivamente che qualcuno la salvi nonostante, a giudicare dalle sue abilità fisiche e intellettuali, potrebbe benissimo salvarsi da sola (di certo avrebbe fatto meglio del nostro protagonista nell'esilarante scena contro il drago); e infine la ciliegina sulla torta, il principe.
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Katzenberg, Spielberg e Geffen, fondatori della DreamWorks |
Lord Farquaad è tutto meno che un personaggio positivo. È un subdolo, meschino approfittatore che manipola la vita delle persone esclusivamente per il potere. Sfratta i personaggi delle fiabe per impossessarsi della loro terra, ricatta Shrek convincendolo fare il lavoro faticoso per lui, cioè affrontare il drago e salvare la principessa Fiona, costringe quest'ultima a sposarlo nonostante non gli importi di lei, tutto per ottenere l'agognato potere e compensare la sua insicurezza di fondo dovuta probabilmente qualche mancanza di tipo fisico (la battuta a riguardo fatta da Shrek potrebbe riferirsi all'altezza... o a qualcos'altro). E se aggiungiamo che questo personaggio, nelle fattezze, ricorda sospettosamente Michael Eisner, CEO della Disney all'epoca, e che la sua pomposa residenza è una palese presa in giro di Disneyland, la cosa assume implicazioni ancora più sfacciate e, diciamolo, esilaranti. Shrek è prima di tutto, non dimentichiamolo, un film comico. Non una semplice parodia, come abbiamo detto, ma un'opera che abbraccia appieno quello che è pur continuando a metterlo costantemente alla berlina, un po' sulla scia di un altro cult, La storia fantastica, diretto da Rob Reiner nel 1987 e qui da noi non molto conosciuto. Ogni personaggio è una maschera comica efficacissima, da cui nascono momenti memorabili che non si fermano a flatulenze ed emissioni corporee (che sono presenti, il protagonista è pur sempre un orco), ma, in un continuo gioco con lo spettatore, esplorano le interazioni fra questi personaggi così fuori le righe, ma allo stesso tempo così amabili.
Perché, dopo tutto, Shrek è pur sempre una fiaba, post-moderna e multireferenziale, ma pur sempre una fiaba. La relazione fra Shrek e Fiona, in particolare nella sua risoluzione finale, è costruita perfettamente, ribaltando ma allo stesso tempo confermando la morale un po' più scontata di esempi come La bella e la bestia. L'antagonista è a dir poco memorabile, e la sua sconfitta forse ancora più soddisfacente rispetto a quella del classico villain fiabesco proprio perché trattata con quella dose di cattiveria che pervade e dà identità all'intera pellicola. La spalla comica, Ciuchino, funziona nella sua idiozia e petulanza perché è totalmente fuori luogo e di ben poco aiuto, per non parlare poi dei tantissimi personaggi secondari, da Pinocchio ai tre topini ciechi, dall'omino di zenzero (protagonista di una delle gag più nonsense e proprio per questo più divertenti del film) allo specchio magico, mutuato direttamente da Biancaneve. Non starò a citare tutti i momenti memorabili e tutte le citazioni presenti, mi limiterò a dire che avranno ancora più spazio nel sequel, uscito tre anni dopo e che a mio parere supera addirittura l'originale.
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Il cattivo Lord Farquaad a confronto con lo storico presidente della Disney Michael Eisner |
Nel caso non si fosse capito, Shrek è stato un fulmine a ciel sereno nel mondo del cinema occidentale, in un periodo, quello dei primi anni 2000, in cui la stessa Disney attraversava una crisi di identità e lo scettro dell'animazione mondiale poteva essere di nuovo conteso. Certo, si potrebbe scrivere un saggio di centinaia di pagine sull'impatto di questo film, avrei potuto parlare dell'enorme lavoro svolto a livello di animazione (stiamo parlando del resto di uno dei primi lungometraggi interamente in grafica 3D), o di come gli avvocati della DreamWorks seguirono pedissequamente la produzione per evitare potenziali denunce da parte della Dismey, o ancora dell'utilizzo geniale delle musiche, in particolare le canzoni, ma ho voluto evitare di dilungarmi troppo.
L'orcone verde non solo ha modificato la concezione del pubblico di cartone animato, non solo ha influenzato le dinamiche stesse dell'intrattenimento al cinema, non solo è stato significativamente il primo vincitore dell'Oscar al miglior film d'animazione, ma ha avuto il merito di dimostrare a tutti, adulti e non, che andava ancora bene credere alle fiabe.
Shrek
è amore, Shrek è vita.