Bentornati, amici e amiche. Dopo tanto
tempo, ho ritrovato la spinta giusta per un'altra recensione
negativa, la seconda di questo blog.
E per questa mia rinvigorita verve
distruttiva devo ringraziare calorosamente Rete 4 e la sua fantastica
programmazione notturna, perché altrimenti non so quando avrei avuto
l'occasione (e soprattutto la voglia) di visionare questo scempio.
Sto parlando di un autentico scult, un film talmente imbarazzante da
meravigliarmi della sua stessa esistenza, partorito dalla mente ebbra
di autocelebrazione di un luminare come Adriano Celentano.
L'obbrobrio in questione è Joan Lui
- Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì. Sorvolando su un
titolo già tremendo di suo che personalmente avrei sostituito con un
più calzante Joan Lui Superstar, chi è vigile sul web saprà
che il Molleggiato si è spesso dimostrato una fonte eccezionale di
cringe, come insegnano pezzi di storia del trash come la sua
famigerata intervista a un irritatissimo David Bowie e la
“visionaria” serie animata Adrian,
del 2019. Ma se quest'ultima rientra sicuramente tra i più grandi
disastri della storia della televisione italiana, Joan Lui
è senza alcun dubbio il suo corrispettivo cinematografico. Partiamo
dal principio.
Celentano,
forte del successo attoriale datogli da pellicole cult come Asso
e Il bisbetico domato,
cercava da tempo finanziamenti per realizzare il suo magnum opus, un
musical apocalittico sulla condanna e redenzione dell'umanità, con
canzoni scritte da lui, set mastodontici e coreografie esplosive. Con
uno spropositato budget di 20 miliardi di lire dell'epoca, garantito
dalla Cecchi Gori, da Silvio Berlusconi (e lottando contro me stesso
cercherò di non commentare in alcun modo questo dettaglio) e
addirittura dalla Germania Ovest, e dopo ben due anni e mezzo di
preproduzione, le riprese del film furono posticipate e allungate
fino allo sfinimento, e le centinaia di ballerini chiamati
direttamente dagli Stati Uniti per il film dovettero attendere per
settimane in un albergo prima di girare finalmente le prime scene,
facendo vorticare così ancora di più i costi di produzione.
Dopo questa
odissea, forse ancora più interessante del prodotto finale, il film
uscì nelle sale italiane il giorno di Natale del 1985 (e non credo
proprio sia un caso), scritto, diretto, montato, musicato e
interpretato dall'Adriano nazionale... e fu uno dei più grandi
fallimenti commerciali che il cinema italiano ricordi.
I motivi di tale
débacle sono innumerevoli e dolorosamente palesi, e partono già dal
soggetto.
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Adriano è venuto per redimere i nostri peccati. |
La premessa di base è: Adriano Celentano è il Messia.
E se pensate che questa sia un'iperbole per sottolineare lo smisurato
ego del cantante, vi sbagliate. Il protagonista, Joan Lui, è
chiaramente una rappresentazione del Messia, che, senza farsi mancare
gli apostoli, Giuda compreso, compie la sua seconda venuta sulla
Terra corrotta dai mali dell'umanità: i rapporti sessuali profani e
peccaminosi, le sigarette di droga dei giovinastri, la mancata
considerazione delle sacre scritture. Scopo di questo misterioso
santone è quello di salvare il mondo con la diffusione del suo
Verbo, rigorosamente cantando, ponendosi al di sopra di ognuno,
mostrandosi estraneo a qualunque colpa, infallibile.
In altre parole,
due ore e quaranta di morali spicciole, banali e trasudanti
insopportabile democristianità, che il Molleggiato sciorina con una
goffaggine esilarante, sotto ogni punto di vista. Innanzitutto dalla
sceneggiatura, a malapena definibile tale, fatta di dialoghi
sconnessi, spesso ai limiti del comprensibile, e situazioni
appiccicate tra di loro con lo sputo, quasi sempre dei pretesti per
forzare in gola allo spettatore dogmatiche ramanzine catto-bigotte
che farebbero salire il crimine anche a Gandhi.
Ma il film non
sarebbe diventato la leggenda che è se fosse solamente noioso.
L'imbarazzante sceneggiatura, infatti, non è che la punta di questo
pretenzioso iceberg.
Chiariamo subito la
questione più importante: Celentano non solo non sa sceneggiare, ma
non sa dirigere e non sa montare un film. Certo, non ho avuto il
piacere di visionare le altre tre fatiche registiche del nostro, ma
credetemi, questa, più le due puntate di Adrian che ho
buttato giù, bastano e avanzano per convincermi dell'insindacabilità
di questa mia affermazione.
Una regia che
definire televisiva sarebbe farle un complimento e, soprattutto, un
montaggio da attacco epilettico affossano ancora di più sotto il
livello dell'umana sopportazione scene già abbastanza deliranti di
per sé.
Volete vivere
un'esperienza veramente mistica? Andatevi a cercare la scena in cui
il nostro messia, con tanto di stigmate, irrompe in un festino
all'interno di una chiesa/discoteca (avete letto bene) e, cantando in
una lingua inventata, guarisce uno storpio mentre delle suore in
calze a rete gli danzano intorno. Dieci minuti interminabili che
riassumono perfettamente tutto quello che c'è di sbagliato in questo
disastro: oltre agli evidenti problemi di gestione di ego dell'autore
e le sue continue autocitazioni, quello che forse più inquieta è
notare l'incredibile sessismo che impregna il tutto, con donne
rappresentate per tutto il film in pose scosciate senza alcun motivo.
Non fa eccezione, naturalmente, Claudia Mori, trascinata a forza dal
marito per regalarci la visione dei suoi generosi seni, in un'altra
delle scene più assurde del film.
E, come se non
bastasse, a fare da contorno non poteva mancare una buona dose di
razzismo. Basti osservare la scena d'apertura del film, con
inquadrature interminabili che mostrano il protagonista percorrere un
treno per poi trovarsi circondato da gente di colore che, non si
capisce bene perché, lo tratta con disprezzo non appena lo vede
arrivare.
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Una Claudia Mori assolutamente non sessualizzata |
Ma naturalmente, al
di là delle sue dubbie implicazioni etico-morali e della permanente
tortura inflitta alle orecchie dello spettatore, Celentano non
dimentica di urtare anche la nostra vista, e pensa bene di deliziarci
con costumi e scenografie kitsch che fanno chiedere in cosa siano
stati spesi tutti quei soldi e, ciliegina sulla torta, coreografie
talmente brutte e mal gestite da far sembrare un video dei Village
People l'intero ensemble dell'Opéra di Parigi.
Tutto considerato,
a voler essere costruttivi, si potrebbe riconoscere a questo film il
risultato notevole, per quanto poco invidiabile, di aver fallito in
ogni singolo aspetto: mal diretto, scritto in preda a deliri di
onnipotenza e non, montato in modo inconcepibile, mal recitato e mal
musicato.
E come se non
bastasse il danno, si aggiunge la beffa (fin troppo prevedibile)
dell'insuccesso commerciale, dato che Joan Lui è uno dei più
grandi flop del cinema italiano, con appena 7 miliardi di lire per
una delle pellicole più costose realizzate nel nostro Paese. A poco
valsero i disperati tentativi della Cecchi Gori di far fronte
all'imminente disastro tagliando il minutaggio del film di mezz'ora,
mossa che portò un infuriato Celentano a intentare causa chiedendo e
ottenendo il sequestro del film, salvo poi tagliarlo egli stesso per
la versione televisiva in onda sulla Mediaset negli anni successivi.
Insomma, come
accennato all'inizio di questa recensione, un vero e proprio
disastro, talmente incredibile e surreale che bisogna vederlo per
crederci davvero. Un po' come un incidente stradale, da cui non è
possibile distogliere lo sguardo nonostante l'orrore che rappresenta.
Perché Joan
Lui, esattamente come Adrian, nel suo inconsapevole orrore
audiovisivo, è infine una delle esperienze più indimenticabili che
uno spettatore possa vivere, in grado di regalare ilarità, noia,
imbarazzo e rabbia, tutte allo stesso tempo. È uno dei peggiori film
che vedrete mai, e la cosa più strana è che, forse, nemmeno ve ne
pentirete.
Dati tecnici
- Regia: Adriano Celentano
- Anno: 1985
- Paese di produzione: Italia, Germania Ovest
- Casa di produzione: Cecchi Gori Silver Film, Extrafilm Produktion
- Fotografia: Alfio Contini
- Musiche: Adriano Celentano, Pinuccio Pirazzoli, Ronny Jackson, Gino Santercole
- Tutto il resto: Adriano Celentano