È sorpredente constatare come alla veneranda età di 80 anni un autore con decenni di attività sulle spalle come Martin Scorsese abbia ancora voglia di sperimentare, di mettersi in gioco, di affrontare generi e stili mai toccati prima. A molti spettatori della domenica la cosa sfugge, ma quando parliamo di Scorsese parliamo di un autore estremamente versatile e completo, capace di gestire con uguale maestria il dramma, la commedia, il film sportivo, il musical e persino il film per ragazzi, come dimostrato dal magnifico Hugo Cabret. Insomma, il suo contributo alla settima arte va ben oltre il gangster movie, filone a cui viene sempre associato e che ha impreziosito con capolavori di cui non penso sia necessario fare i nomi in questa sede.
Con Killers of the Flower Moon il maestro italoamericano tocca per la prima volta il western, ma ovviamente lo tocca a modo suo: come fu per il Tarantino di Django e The Hateful Eight, Scorsese si appropria dell'ambientazione western per marchiarla a fuoco con la sua impronta, adattandosi alle esigenze narrative e stilistiche della vicenda che vuole raccontare senza perdere un briciolo della sua poetica. La base del soggetto è quella di un reale fatto di cronaca risalente ai primi del '900, da cui Scorsese prende spunto per firmare una vera e propria apologia, una sorta di scusa collettiva nei confronti di un popolo, anzi dei popoli, che l'America ha sterminato e perseguitato per secoli. Un genocidio il cui sangue macchia le mani di tutti gli americani, o almeno è questo che sembra voler dirci il regista: nessuno è totalmente innocente, finché fatti come la serie di omicidi che negli anni '20 ha interessato la comunità di nativi Osage dell'Oklahoma rimarranno nell'ombra.
È un film che prosegue un fil rouge che lo lega ad altre grandi opere come Gangs of New York, attraverso il quale si narra di come la storia degli Stati Uniti in realtà non sia poi così gloriosa, di come le sue fondamenta siano state costruite sulla violenza, sulla prevaricazione, su una minoranza che schiaccia tutte le altre nascondendosi dietro concetti altisonanti come la libertà, l'autodeterminazione, l'unione. Particolarmente efficace in questo senso è il finale, dove Scorsese mette a nudo se stesso quanto lo spettatore, e lo pone di fronte alla sua storia, al suo presente, alle sue responsabilità.
Certo, Killers of the Flower Moon, dall'omonimo saggio del giornalista David Grann, è un film molto lungo: quasi tre ore e mezza di cui forse almeno una ventina si poteva fare a meno, ma sono convinto che sia anche una scelta consapevole da parte del regista e della sua storica montatrice, la leggendaria Thelma Schoonmaker: in un'epoca di consumo rapido e insapore, l'ultima fatica di Martin Scorsese rappresenta un necessario slow food, un'esperienza da subire (rigorosamente davanti al grande schermo) fino in fondo, senza scorciatoie o mezze misure. Persino i protagonisti, i divi Di Caprio e De Niro, vengono calati in ruoli insoliti per le rispettive carriere. Quasi che l'autore volesse sottolineare ancora di più la sua emancipazione da ciò che su di lui viene solitamente proiettato, da quegli stereotipi che gli vengono affibbiati quando i più pretenziosi decidono di additarlo come "stanco", "vecchio" e "obsoleto".
Killers of the Flower Moon non è forse un capolavoro, e del resto è ancora presto per dirlo, ma è l'ennesima dimostrazione che, nonostante l'età, Scorsese e il suo cinema sono più vivi che mai.
Dati tecnici
Regia: Martin Scorsese
Anno: 2023
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Casa di produzione: Paramount Pictures, Apple TV+
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Musiche: Robbie Robertson