martedì 24 ottobre 2023

FRESCO DI CELLULOIDE: KILLERS OF THE FLOWER MOON, DI MARTIN SCORSESE

È sorpredente constatare come alla veneranda età di 80 anni un autore con decenni di attività sulle spalle come Martin Scorsese abbia ancora voglia di sperimentare, di mettersi in gioco, di affrontare generi e stili mai toccati prima. A molti spettatori della domenica la cosa sfugge, ma quando parliamo di Scorsese parliamo di un autore estremamente versatile e completo, capace di gestire con uguale maestria il dramma, la commedia, il film sportivo, il musical e persino il film per ragazzi, come dimostrato dal magnifico Hugo Cabret. Insomma, il suo contributo alla settima arte va ben oltre il gangster movie, filone a cui viene sempre associato e che ha impreziosito con capolavori di cui non penso sia necessario fare i nomi in questa sede.

Con Killers of the Flower Moon il maestro italoamericano tocca per la prima volta il western, ma ovviamente lo tocca a modo suo: come fu per il Tarantino di Django e The Hateful Eight, Scorsese si appropria dell'ambientazione western per marchiarla a fuoco con la sua impronta, adattandosi alle esigenze narrative e stilistiche della vicenda che vuole raccontare senza perdere un briciolo della sua poetica. La base del soggetto è quella di un reale fatto di cronaca risalente ai primi del '900, da cui Scorsese prende spunto per firmare una vera e propria apologia, una sorta di scusa collettiva nei confronti di un popolo, anzi dei popoli, che l'America ha sterminato e perseguitato per secoli. Un genocidio il cui sangue macchia le mani di tutti gli americani, o almeno è questo che sembra voler dirci il regista: nessuno è totalmente innocente, finché fatti come la serie di omicidi che negli anni '20 ha interessato la comunità di nativi Osage dell'Oklahoma rimarranno nell'ombra.
È un film che prosegue un fil rouge che lo lega ad altre grandi opere come Gangs of New York, attraverso il quale si narra di come la storia degli Stati Uniti in realtà non sia poi così gloriosa, di come le sue fondamenta siano state costruite sulla violenza, sulla prevaricazione, su una minoranza che schiaccia tutte le altre nascondendosi dietro concetti altisonanti come la libertà, l'autodeterminazione, l'unione. Particolarmente efficace in questo senso è il finale, dove Scorsese mette a nudo se stesso quanto lo spettatore, e lo pone di fronte alla sua storia, al suo presente, alle sue responsabilità.

Certo, Killers of the Flower Moon, dall'omonimo saggio del giornalista David Grann, è un film molto lungo: quasi tre ore e mezza di cui forse almeno una ventina si poteva fare a meno, ma sono convinto che sia anche una scelta consapevole da parte del regista e della sua storica montatrice, la leggendaria Thelma Schoonmaker: in un'epoca di consumo rapido e insapore, l'ultima fatica di Martin Scorsese rappresenta un necessario slow food, un'esperienza da subire (rigorosamente davanti al grande schermo) fino in fondo, senza scorciatoie o mezze misure. Persino i protagonisti, i divi Di Caprio e De Niro, vengono calati in ruoli insoliti per le rispettive carriere. Quasi che l'autore volesse 
sottolineare ancora di più  la sua emancipazione da ciò che su di lui viene solitamente proiettato, da quegli stereotipi che gli vengono affibbiati quando i più pretenziosi decidono di additarlo come "stanco", "vecchio" e "obsoleto".

Killers of the Flower Moon non è forse un capolavoro, e del resto è ancora presto per dirlo, ma è l'ennesima dimostrazione che, nonostante l'età, Scorsese e il suo cinema sono più vivi che mai.

Dati tecnici

Regia: Martin Scorsese

Anno: 2023

Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Casa di produzione: Paramount Pictures, Apple TV+

Fotografia: Rodrigo Prieto

Montaggio: Thelma Schoonmaker

Musiche: Robbie Robertson


mercoledì 4 ottobre 2023

FRESCO DI CELLULOIDE: ASTEROID CITY, DI WES ANDERSON

Sono sempre elettrizzato quando esce un nuovo film di Wes Anderson. Non solo perché è uno dei miei registi preferiti e uno degli autori più interessanti e riconoscibili degli ultimi anni, ma perché sono sempre molto interessato alle impressioni nettamente discordanti che i suoi lavori lasciano immancabilmente su pubblico e critica. Credo che sia dai tempi dell'Isola dei cani, seconda incursione del regista nell'animazione, che un suo film non veniva universalmente osannato tanto dalla critica che dai suoi (pochi) spettatori. The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun, da me molto apprezzato, aveva già fatto alzare qualche sopracciglio e storcere qualche naso, e sicuramente gli innumerevoli meme e parodie che ironizzano sul peculiare e distintivo stile dell'autore texano hanno aiutato a cementificare una sorta di stanchezza collettiva nei confronti dei suoi colori pastello, delle sue inquadrature simmetriche e della sue colonne sonore dal sapore vintage.

Ebbene, se appartenete a questo gruppo di detrattori, o anche solo se tutte queste caratteristiche vi hanno semplicemente stancati, probabilmente non apprezzerete più di tanto questo Asteroid City, undicesima fatica di Anderson presentata come sempre a Cannes.
Gli elementi incriminati ci sono tutti: fotografia calda quasi da cartolina, in cui la fanno da padroni l'azzurro limpido del cielo e il marrone chiaro del deserto e delle rocce, geometrie precisissime (e kubrickiane) che descrivono con attenzione maniacale gli ambienti, un cast stellare estremamente vasto e variegato e canzoni che accompagnano il tutto che sembrano uscire da una radiolina anni '60 (tanto quelle di repertorio quanto la canzone originale del film, Dear Alien, che vede tra l'altro lo zampino di Jarvis Cocker).

La vera domanda da porsi è: può l'identità di questo film, così come di tutte le altre opere di quest'autore, essere interamente riassunta in questi elementi superficiali? 
La risposta, a mio modesto parere, è un grosso no.
Se Asteroid City non rientra certo fra i 5 migliori film di Anderson, e indubbiamente già a partire dal succitato The French Dispatch è possibile intravedere un po' di maniera, entrambi portano avanti la poetica di quello che, è sempre d'uopo ricordarlo, non è un mero esecutore, ma un artista e un autore completo, che, come ogni artista/autore, porta avanti le sue solite tematiche e le sue solite scelte estetiche per metterle in pratica.

La pellicola, divisa in tre atti, è teatro che si fa cinema e viceversa, una commedia singolare che mette in scena una storia corale densa di soluzioni metanarrative, ma allo stesso tempo carica della tipica, sottile ironia che in questo caso attacca (forse non con abbastanza forza) il governo degli Stati Uniti in un'epoca di guerra fredda. La vicenda si svolge nel 1955 in un immaginarioa zona, denominata appunto Asteroid City, in cui il cratere lasciato dalla caduta di un asteroide millenni prima attira tutta una serie di personaggi tra i più disparati, fra turisti, comitive di ragazzi prodigio che partecipano a un convegno di astronomia, e un uomo he si ritrova con l'auto in panne insieme alle tre figlie piccole e le ceneri della moglie appena defunta. Le storie di tutti questi personaggi, più o meno ben delineate, si intrecciano fra di loro in un groviglio apparentemente intricato, come si intrecciano i tre piani narrativi del film, ovvero la preparazione della commedia, che vediamo in bianco e nero e in 4:3, la commedia stessa, per cui si passa al colore e al widescreen, e il narratore, impersonato da un ottimo Bryan Cranston.

Entrare nel dettaglio sarebbe a mio parere inutile, perché Asteroid City è uno di quei film che parlano da sé. Uno di quei film a cui si potrebbe pensare per mesi o anni senza giungere a un'interpretazione univoca, ma l'unica certezza che si ha giunti ai titoli di coda è che Wes Anderson sta continuando imperterrito per la sua strada portando avanti il suo stile, insofferente alle reazioni confuse degli spettatori e ai lamentosi dissensi dei critici della domenica: la sua ultima fatica, checché se ne dica, dimostra che il suo cinema è più vivo che mai, ed è proprio di questa creatività e originalità che la settima arte ha bisogno.
Andate dunque al cinema e date una possibilità a questo film, e decidete voi se avrete assistito a un colpo di genio o ad una stanca opera di maniera. La mia opinione, seppur non totalmente netta, tende decisamente per la prima ipotesi.

Dati tecnici

Regia: Wes Anderson

Anno: 2023

Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Casa di produzione: Indian Paintbrush, Universal Pictures

Fotografia: Robert D. Yeoman

Montaggio: Barney Pilling

Musiche: Alexandre Desplat