sabato 29 gennaio 2022

X-MEN, DI BRYAN SINGER

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione, ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni centinaio di millenni l'evoluzione fa un balzo in avanti.

- Charles Xavier


Bentornati, amici e amiche! È passato un po' di tempo dall'ultimo articolo, e ancora di più da una recensione di un film specifico. Per ritornare in carreggiata, quale modo migliore di trattare un filone di cui non avevo mai trattato prima? Ecco dunque la mia prima recensione di un cinecomic... 

Pur essendo un grande appassionato di fumetti, ho sempre guardato con distacco al genere supereroistico. Per me il più grande ostacolo a quella specie di fonte meravigliosa inesauribile era principalmente la spropositata vastità di scelta: quando si parla di Marvel e DC (e cito solo queste due per semplificarmi la vita) si parla di veri e propri universi compositi, con continuity intricatissime, reboot, what-if, e un labirinto di eroi, antieroi, cattivi, squadre e chi più ne ha più ne metta che metterebbero in difficoltà anche il lettore più navigato cresciuto a Topolino o a Bonelli.

È fondamentalmente per questo motivo che mi sono realmente approcciato al genere molto tardi, verso i vent'anni, ma se adesso posso dire di aver acquisito un minimo di conoscenza riguardo il mondo delle calzamaglie e delle tutine attillate lo devo principalmente a Bryan Singer e alla sua saga dedicata agli X-Men: fu proprio la serie prodotta dalla Fox fin dal 2000 a farmi appassionare ai fumetti dai quali fu tratta, e di questo non sarò mai abbastanza grato, perché il mitico fumetto creato nel lontano 1963 da Stan Lee e Jack Kirby, tra i più venduti e acclamati di sempre, è a mani basse il mio preferito in ambito supereroistico. L'elemento principale che personalmente eleva il team di mutanti al di sopra di molti altri nomi illustri, che pure apprezzo, è la forte e onnipresente critica sociale: le imprese di questo eterogeneo gruppo, a malapena considerabile eroico nel vero senso del termine, sono sempre state caratterizzate da un sostrato di tematiche molto serie e, purtroppo, estremamente attuali, quali la discriminazione e la paura dell'uomo nei confronti dell'ignoto, spingendosi perfino a toccare xenofobia, pulizia etnica e segregazione.

Semplicemente, si tratta di uno degli esempi più interessanti e politicizzati (del resto Stan Lee non ha mai nascosto le sue idee progressiste) del mondo dei comics statunitensi, che rischiava facilmente di risultare banalizzato e impoverito da una trasposizione cinematografica, in un periodo in cui il filone dei cinecomic era ancora da definire. Ma fortunatamente le scelte della Fox, nella figura della produttrice Lauren Shuler Donner, nel trattare il progetto si rivelarono azzeccate: innanzitutto la Donner, guarda caso moglie di quel Richard Donner che lanciò il concetto di cinecomic con il leggendario Superman del 1978, affidò il progetto a Bryan Singer, reduce da thriller acclamati dalla critica come I soliti sospetti, che venne scelto dopo il rifiuto di nomi del calibro di Kathryn Bygelow e Robert Rodriguez. Mossa intelligente anche perché, oltre ad essere dotato di un'ottima tecnica, Singer è notoriamente bisessuale, e dunque ideale per trattare un tema delicato come quello della discriminazione. Non a caso, il regista volle fortemente Sir Ian McKellen, attore inglese d'estrazione teatrale e grande attivista per i diritti della comunità LGBT, consacrato come idolo del mondo nerd grazie a questo film e alla sua interpretazione di Gandalf nel Signore degli Anelli di Peter Jackson.

Bryan Singer

Potranno sembrare elementi di poco conto, ma non lo sono se consideriamo che il primo film, uscito nel 2000, riesce nel difficile compito di esprimere appieno le due facce di qualcosa di ipercommerciale ma spesso anche profondo come X-Men: l'azione spensierata da fumetto, con eroi dotati di poteri straordinari che salvano il mondo, e la drammaticità del sentirsi temuti e odiati da tutti esclusivamente in quanto diversi. La sequenza d'apertura è l'ultima che ci si aspetterebbe da un film come questo: in un gruppo di ebrei appena deportati ad Auschwitz un bambino, mentre viene separato dalla madre, manifesta per la prima volta il potere di controllare il magnetismo. Quel bambino è Erik Leshnerr, alias Magneto. Un Magneto che nella scena subito dopo, adulto, si confronta con l'ex amico Charles Xavier, anch'egli un mutante, e già in questi primi minuti l'ottima sceneggiatura fa immediatamente comprendere come il vero scontro di quello che dovrebbe essere un film di supereroi non starà tanto nell'azione, quanto negli ideali: Xavier e Magneto sono due facce della stessa medaglia, due risultati dello stesso trattamento, ma diametralmente opposti nel loro modo di reagire a un mondo che, come recita il prologo del fumetto, “li odia e li teme”. Anche un poco informato spettatore medio potrebbe intuire che dietro l'ideale di convivenza pacifica tra uomini e mutanti di Xavier e la crociata suprematista di Magneto si nascondano nient'altro che le dottrine sociopolitiche rispettivamente di Martin Luther King e Malcolm X. Probabilmente, alla luce delle parole d'odio messe in bocca al senatore Robert Kelly, non troppo dissimili da quelle che sentiamo ogni giorno nel nostro mondo, intuirebbe anche che il piano malvagio di Magneto di iniettare il gene X alla maggior parte dei leader mondiali, i cui corpi non sopravviverebbero alla mutazione, non è niente in confronto a quello di cui gli esseri umani si macchiano quotidianamente, arrivando persino a varare una legge di registrazione per “tenere sotto controllo” i mutanti, ormai sempre più presenti e dunque visti come una minaccia.

Hugh Jackman nei panni di Wolverine
Ma non temete, questo film non è solo retorica e ideologie: è anche un concentrato di personaggi memorabili, frasi a effetto e combattimenti che la regia di Singer gestisce alla perfezione, coadiuvata da un buon montaggio e da una fotografia che sa quando essere fredda e quando calda. Notevole ad esempio una scena di grande impatto come quella in cui la giovane Anna-Marie, ovvero “Rogue” (Anna Paquin), sviluppa per la prima volta i suoi poteri mutanti, dove le luci naturali che filtrano dalle finestre donano alla scena le giuste dosi di tenerezza e inquietudine.


Ma visto che ho nominato i personaggi, perché non parlare della rappresentazione ai limiti della perfezione che hanno ricevuto nel passaggio tra carta e celluloide? E come non iniziare da Wolverine, che sembra tirato letteralmente fuori dal fumetto grazie a un Hugh Jackman esteticamente perfetto, lanciato con questo ruolo dopo aver scartato nomi illustri come Russell Crowe, Glenn Danzig (sì, QUEL Glenn Danzig) e John C. McGinley (se vi chiedevate perché il dottor Cox di Scrubs odiasse Hugh Jackman, ecco spiegato il motivo). Nella fantastica scena del bar non assistiamo solo all'incontro tra i due personaggi principali, ma a un eroe d'infanzia che prende vita dinanzi a noi, destinato a diventare talmente iconico da sopravvivere sullo schermo per quasi vent'anni. Ma anche gli altri non sono certo da meno: ho già citato McKellen, ma non sfigurano un grandioso Patrick Stewart nel ruolo di Xavier o una splendida Halle Berry nel ruolo di Tempesta, la cui bravura è sufficiente a mettere in ombra altri interpreti non esattamente all'altezza. Già, quando ho menzionato la scena con Rogue non ho specificato quanto la recitazione della Paquin lasciasse a desiderare... Fortunatamente si è riscattata ai miei occhi grazie al suo piccolo ma significativo ruolo in The Irishman.

Sono molto ben resi anche i rapporti tra i vari personaggi, in particolare il burrascoso triangolo amoroso tra Logan/Wolverine, Jean Grey (interpretata dall'attrice olandese Famke Janssen) e Scott Summers/Ciclope (James Marsden), prima che i sequel rompessero un po' le uova nel paniere. Meno parliamo di Fenice in X-Men - Conflitto finale meglio è...

Xavier e Magneto nella scena finale del film
Nonostante tutti i pregi, va detto, il film risulta un po' invecchiato per alcune piccole cose, come certi effetti al computer un po' troppo finti o personaggi di contorno come Sabretooth o Toad, leggermente ridicoli a vederli oggi. Piccole ingenuità attribuili al periodo, che a mio parere scompaiono di fronte al trucco straordinario sul personaggio di Mystica o agli effetti sul senatore Kelly trasformato in mutante.

L'inaspettato successo ottenuto da questo film al botteghino porterà a un florilegio di sequel, prequel e spin-off, che definire altalenante risulterebbe quanto mai eufemistico. Non mi dilungherò molto a riguardo, mi limiterò a dire che capitoli come il successivo X-Men 2, uscito tre anni dopo, e il sequel/reboot/prequel Giorni di un futuro passato, tratto da una delle saghe fumettistiche più belle della storia Marvel, giustificano pienamente l'esistenza di questa saga, tanto epica quanto disordinata come i fumetti a cui si ispira.

Tirando le somme, a questo film va riconosciuta una certa importanza nell'ambito del cinema blockbuster, perché considerato da molti, me compreso, il primo vero cinefumetto moderno, anticipatore di esempi illustri come gli splendidi Spider-Man di Sam Raimi e di molti altri decisamente meno ispirati, ma che, nel bene e nel male, hanno contribuito a settare i canoni di una moda che col tempo avrebbe sempre più affinato se stessa, arrivando all'asfittica situazione odierna in cui, purtroppo, i fallimenti sono decisamente più delle vittorie (in senso puramente artistico, si intende). Gli X-Men di Bryan Singer dimostrano come l'intrattenimento può essere di livello anche senza dover spegnere il cervello, e sono sicuramente tra i cinecomic a cui torno più volentieri.


Dati tecnici


Regia: Bryan Singer

Anno: 2000

Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Casa di produzione: 20th Century Fox, Marvel Entertainment

Fotografia: Newton Thomas Sigel

Musiche: Michael Kamen

lunedì 24 gennaio 2022

FRESCO DI CELLULOIDE: THE TRAGEDY OF MACBETH, DI JOEL COEN


Benvenuti in una nuova rubrica dedicata alla recensioni flash di film appena usciti! Da adesso in poi, per rimpolpare la quantità di post di questo blog e non farlo sembrare un deserto, ho deciso che posterò i miei pareri a caldo su film usciti da poco che ho appena visionato. 

E quale modo migliore di cominciare se non con The Tragedy of Macbeth, l'ultimo film dei Coen? O meglio, di Joel Coen, che per la prima volta lavora senza l'aiuto di suo fratello Ethan, assente anche dal ruolo di produttore.
Si tratta dell'ennesima trasposizione dell'opera immortale di William Shakespeare, ultima di una lunga serie che ha visto gli sforzi di giganti come Roman Polanski, tanto per citarne uno.

Qui, tra set minimali chiaramente (e adeguatamente) di matrice teatrale, formato in 4:3 e un bianco e nero meraviglioso ad opera di Bruno Delbonnel, il rimando è chiaramente alla storica riduzione curata da Orson Welles nel 1948.
Coen omaggia due grandi maestri, uno del teatro e uno del cinema, in maniera impeccabile, con un esercizio di stile che ha tutta la perizia tecnica che fu di Welles e tutto la caratura epico-morale dell'intramontabile capolavoro di Shakespeare, impreziosita poi da interpreti d'eccezione come Denzel Washington e Frances McDormand.

Trovate questa perla su Apple Tv+, anche se consiglio la versione originale: non fraintendetemi, io ADORO Francesco Pannofino, ma trovo che la sua voce non si abbini più tanto al volto di Washington, a causa probabilmente dell'età. Ma hey, allo stesso tempo la McDormand è ancora doppiata da Antonella Giannini, il che è sempre un punto in più. 

Dunque date un'occhiata e fatemi sapere cosa ne pensate del film, oltre che di quest'idea! A presto.