giovedì 21 ottobre 2021

LO CHIAMAVANO TRINITÀ: PER UN PUGNO DI FAGIOLI

Bentornati, amici e amiche! Oggi ho una confessione da farvi: non ho mai visto un film con Bud Spencer e Terence Hill prima di quest'anno. Potrà risultare incredibile per alcuni di voi, sapendo quanto sia appassionato di cinema, il fatto che in 26 anni di esistenza non abbia mai visionato nemmeno uno di quei film che per decenni hanno tenuto in piedi il palinsesto di Rete 4, fra una puntata di Colombo e una figura di merda in diretta di Emilio Fede. Per altri, il fatto che il primo western che recensisco su questo blog sia di fatto una parodia potrà sembrare barare. Ma cosa posso dirvi? Mi ci vorranno almeno un centinaio di visioni per poter disquisire degnamente sulla trilogia del dollaro o su Sentieri selvaggi, mentre sento che già dopo due visioni le mie idee su Lo chiamavano Trinità siano abbastanza chiare. Ebbene sì, si torna a parlare di cult e di cinema italiano, quindi direi di non indugiare oltre.

La seconda metà degli anni '60, in Italia, era un periodo dominato dallo spaghetti western. Il maestro Sergio Leone aveva rimodellato il genere forse più americano di sempre trasformandolo in qualcosa di nuovo, e gli altri registi di genere nel Paese non avevano tardato a prendere appunti. Presto scoppiò una vera e propria invasione di epigoni “leoniani”, alcuni di altissimo livello, altri decisamente più scontati. Nacquero i western politici, i thriller western, addirittura gli horror western, arrivando inevitabilmente alla parodia, con esempi come Il bello, il brutto e il cretino con Franco e Ciccio.

Hill e Spencer nei ruoli di Trinità e Bambino
Arrivati però al 1970, lo spaghetti western, così com'era esploso, stava lentamente sfiorendo sotto il peso del manierismo, e quello che fece E.B. Clucher (all'anagrafe Enzo Barboni) con Lo chiamavano Trinità fu forse il segnale più chiaro dell'inevitabile declino del genere. Del resto, si sa, quando dalla serietà si vira verso la farsa vuol dire che il filone si è esaurito, e il ricorso alla commedia è spesso visto come l'ultima spiaggia a cui approdare per salvarsi da un mare di banalità. Fortunatamente, però, Lo chiamavano Trinità è molto di più che una semplice parodia: è una felicissima fotografia del cinema italiano anni '70, di quella commedia che ancora osava mischiarsi al serio e che nella storia dei due fratelli Bambino e Trinità (due fantastici Bud Spencer e Terence Hill, lanciati proprio con questa pellicola) gioca con gli stereotipi del western all'italiana fondendoli con quelli della commedia slapstick, dando vita a un ibrido che sembra tutt'altro che innaturale.

Del resto, non appena le nostre orecchie avvertono il tema musicale di Franco Micalizzi fischiato dal mitico Alessandro Alessandroni, l'uomo dietro il famoso fischio delle musiche di Morricone per i film di Leone, veniamo subito trasportati in un'atmosfera decisamente familiare: a questi suoni tanto tipici quando splendidi si aggiungono le immagini delle primissime inquadrature, con un pistolero dai vestiti sporchi e dal cappello calato sul volto, talmente svogliato da lasciarsi trascinare dal suo cavallo sdraiato su una treggia, che per di più nemmeno parla per i primi 5 minuti di film.
È chiaramente un tipico personaggio alla Clint Eastwood, un semi-fuorilegge dalla mira infallibile e dal cuore d'oro, che incontra un ex bandito diventato sceriffo con il quale si allea per combattere un perfido latifondista che perseguita un'innocua comunità. Eppure, alla fine si ha la sensazione di aver assistito più a un cartone animato di Tex Avery che a un classico western all'italiana. Le sparatorie lasciano il posto ai pugni e ai ceffoni, e l'antieroe solitario non è più così tanto solitario, legato com'è al burbero fratello, un Bud Spencer che a quest'immagine da gigante buono dovrà gran parte della sua fortuna, con quel suo tipico sguardo svogliato che ti dà l'impressione che sia quasi costretto a fare uso della sua forza, quando preferirebbe farne a meno.
Le scene clue sono troppe da citare: Trinità che divora voracemente il suo piatto di fagioli salvo poi sentenziare che “facevano schifo”, Bambino che si libera dei tre uomini del maggiore Harriman in una frazione di secondo, la fantastica rissa tra mormoni e banditi alla fine del film, in cui la violenza viene stemperata da gag ed effetti sonori ormai diventati iconici. Per non parlare del finale, con Trinità che, dapprima deciso ad unirsi alla pacifica comunità di mormoni attratto dall'allettante idea della poligamia, scappa a gambe levate non appena apprende del duro lavoro e della costante preghiera che quello stile di vita impone. Anche gli aneddoti riguardo la produzione si sprecano: pare che per la scena dei fagioli Terence Hill si preparò digiunando per almeno 24 ore, mentre per i ceffoni si allenava tutti i giorni a casa sua schiaffeggiando una colonna, suscitando la perplessità della moglie, preoccupata per la sua sanità mentale.

Terence Hill nella famosa scena dei fagioli

Come tutti sappiamo, la formula delle "scazzottate" si rivelerà estremamente di successo, tanto da costruire la fortuna di tre intere carriere, quella di Barboni, che sfruttò l'onda del successo per sfornare immediatamente un sequel, e quelle di Spencer e Hill, per oltre un ventennio beniamini del pubblico italiano, e non solo.

Un film dunque impossibile da non guardare col sorriso, che oltre a inserirsi perfettamente nel vasto ed eterogeneo panorama della commedia all'italiana raccoglie degnamente il testimone di un'epoca ormai al tramonto, ma che per un breve periodo conoscerà rinnovata popolarità sotto forma di quello che qualcuno, non senza un velo di ironia, ha battezzato "fagioli western". Se tale termine sia spregiativo o lusinghiero lo lascerò decidere a chi di voi avrà voglia di dare un'occhiata a questo pezzo di storia dell'immaginario collettivo italiano. Nel frattempo io vi saluto e vi do appuntamento alla recensione di Halloween! A presto!


Dati tecnici


Regia: E.B. Clucher

Anno: 1970

Paese di produzione: Italia

Casa di produzione: Delta

Fotografia: Aldo Giordani

Musiche: Franco Micalizzi

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