venerdì 29 ottobre 2021

SPECIALE HALLOWEEN: HALLOWEEN - LA NOTTE DELLE STREGHE

"Malocchio e gatti neri, malefici misteri / il grido di un bambino bruciato nel camino / nell'occhio di una strega, il diavolo s'annega / e spunta fuori l'ombra: l'ombra della strega! / La vigilia d'Ognissanti han paura tutti quanti: / è la notte delle streghe! / Chi non paga presto piange! "
Buonanotte, amici e amiche. Cosa vi viene in mente non appena pensate ad Halloween? Personalmente la prima cosa che questa parola mi suggerisce è la colonizzazione culturale che gli Stati Uniti operano su di noi da circa 80 anni a questa parte, tanto da condurci persino a celebrare una loro festa senza avere la minima idea del suo significato. Ma hey, è anche una scusa come un'altra per celebrare il terrore (quello fantasioso, ovviamente), e da amante del cinema quale sono anch'io mi lascio coinvolgere e mi abbandono ogni anno alla visione (o revisione) dei miei horror preferiti. E, tornando alla domanda che ho posto all'inizio di questa recensione, il primo film che mi viene in mente quando penso alla notte delle streghe è il mitico cult di John Carpenter che ne porta il nome. Non è solo una mera questione di titolo: questo film riesce sempre a suscitarmi quelle sensazioni che, nel mio immaginario personale, associo istintivamente a questo periodo dell'anno: non solo la paura, ma anche l'autunno, le foglie che cadono, le notti cupe e fredde, tutto rievocato magnificamente nel film di Carpenter, ed è per questo che ogni anno non manco mai all'appuntamento con questo classico. Ma i meriti di Halloween – La notte delle streghe, questo il sottotitolo italiano, vanno ben oltre i miei gusti personali. Del resto, se io e innumerevoli critici di tutto il mondo lo consideriamo un capolavoro un motivo ci sarà, e stanotte, tra uno sgozzamento e un rito satanico, cercherò di spiegarvi perché. Tanto per cominciare, il film è considerato tra gli iniziatori del filone slasher; certo, in questo il buon Carpenter era stato anticipato ben sette anni prima dal nostro Mario Bava, che con il capolavoro Reazione a catena ha ispirato almeno una generazione di autori horror. È anche vero però che la vera e propria slasher-mania esplosa negli anni '80 si deve in larga parte al grandissimo successo proprio di Halloween e di altri film del periodo, come il canadese Black Christmas, successo ben comprensibile, soprattutto se ci documentiamo sulla produzione di questo film. Terza opera di Carpenter, è stata realizzata con un budget risibile e prodotta dalla allora fidanzata del regista Debra Hill. Gli attori si dovettero accontentare di un cachet ridotto, mentre l'iconica maschera dell'assassino venne ricavata da una raffigurante il capitano Kirk di Star Trek, acquistata per appena due dollari: l'inespressività del volto di William Shatner era esattamente quello che il regista voleva, e fu così che divenne il volto mascherato di Michael Myers. Per il casting si scelsero per forza di cose attori non particolarmente famosi, a partire da una giovanissima Jamie Lee Curtis nel ruolo di Laurie Strode, coinvolta nel film perché figlia di Janet Leigh, indimenticabile protagonista di Psycho, mentre per il ruolo del dottor Sam Loomis si optò per il veterano Donald Pleasence, dopo il rifiuto di altre star dell'horror britannico come Christopher Lee e Peter Cushing. Michael Myers, invece, venne interpretato, solo per il corpo, da Nick Castle, amico e collaboratore storico di Carpenter, mentre il viso venne fornito dal giovane attore emergente Tony Moran.
Gli elementi che rendono Halloween un capolavoro del genere sono tanti: basterebbe l'ascolto della colonna sonora che introduce il film per farci venire la pelle d'oca, tra l'altro composta dallo stesso Carpenter rimaneggiando il tema di Profondo rosso di Dario Argento (notare quanto l'Italia sia presente nel DNA di questo film). Subito dopo, la nostra attenzione viene immediatamente rapita dall'eccezionale piano sequenza che costruisce la prima scena del film, in cui il regista sfoggia un utilizzo allora sperimentale della steadicam, che di lì a due anni avrebbe dimostrato tutto il suo potenziale in un altro capolavoro, quello Shining realizzato abbastanza benino da quel tal Stanley Kubrick. La telecamera sviscera le origini del male con una soggettiva che mette lo spettatore nel mezzo della vicenda, rendendolo partecipe in prima persona dell'omicidio efferato da parte di un Michael Myers di 6 anni ai danni della sorella adolescente. Impossibile dimenticare la faccia del bambino appena divenuto assassino, il coltello grondante sangue in mano e la maschera di Halloween alzata sulla fronte. Questi cinque minuti di perizia tecnica e suggestione visiva basterebbero a consacrare la pellicola nell'Olimpo del cinema, ma è solo l'inizio. In questa storia ambientata quasi interamente il 31 ottobre 1978 in un piccolo quartiere del'Illinois, Carpenter costruisce la tensione in maniera impeccabile, con lenti movimenti di macchina che seguono, ora da vicino, ora da lontano, i nostri protagonisti, inconsapevoli del terrore che sta per colpire il loro tranquillo vicinato. Seguendo la logica hitchcockiana, il regista non ci mostra chiaramente l'assassino fino a ben oltre la metà del film, ritraendolo sempre in campo lungo, o di sbieco, o in ombra, ma mai in primo piano fin quasi alla fine. Lo spettatore è però costantemente consapevole della sua presenza in scena, cosa che alimenta il senso di angoscia per l'inconsapevolezza dei personaggi sullo schermo, destinati quasi tutti a una morte cruenta e inevitabile. Perché Michael Myers, come asserito più volte dal dottor Loomis, ha ben poco di umano, è un'inarrestabile macchina mortale, il male incarnato. Non a caso, nonostante venga ucciso almeno tre volte nel corso del film, il finale rimane aperto, lasciando i protagonisti (e gli spettatori) inorriditi al pensiero che questa entità così malvagia sia ancora in circolazione.
Insomma, un film del genere uscito in un periodo di tarda Nuova Hollywood, estremamente fertile e libero per gli artisti emergenti, non poteva che avere successo, anche grazie alla maestria con cui Carpenter e produzione sono riusciti a gestire il poco budget a disposizione, giocando di sottrazione e ammantando così la vicenda di un'aura quasi soprannaturale, un po' come Steven Spielberg aveva fatto con lo squalo nel suo omonimo capolavoro. La critica dell'epoca fu scettica, ma il successo al box-office non solo diede credibilità a un giovane regista alla sua terza opera, ma consacrò Jamie Lee Curtis come una delle scream queen più memorabili di sempre (tale madre...) e ravvivò la carriera di Pleasence, che ricoprirà una miriade di ruoli, per lo più in horror, fino alla sua morte nel 1995. Ad oggi, Halloween è a giusto titolo considerato un capolavoro del cinema e uno dei migliori film horror di tutti i tempi, e anche per questo dispiace che un autore come John Carpenter sia ancora oggi così poco celebrato e poco ricordato da critica e pubblico, nonostante abbia nella sua filmografia più cult e capolavori di molti registi ammirati di oggi. Halloween, per concludere, è un must-watch ogni ottobre, e se per caso la sera del 31 doveste avere la strana sensazione di essere osservati... assicuratevi che “l'ombra della strega” non stia bazzicando il vostro vicinato...

Dati tecnici

Regia: John Carpenter

Anno: 1978

Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Casa di produzione: Compass International Pictures, Falcon International Productions

Fotografia: Dean Cundey

Musiche: John Carpenter

giovedì 21 ottobre 2021

LO CHIAMAVANO TRINITÀ: PER UN PUGNO DI FAGIOLI

Bentornati, amici e amiche! Oggi ho una confessione da farvi: non ho mai visto un film con Bud Spencer e Terence Hill prima di quest'anno. Potrà risultare incredibile per alcuni di voi, sapendo quanto sia appassionato di cinema, il fatto che in 26 anni di esistenza non abbia mai visionato nemmeno uno di quei film che per decenni hanno tenuto in piedi il palinsesto di Rete 4, fra una puntata di Colombo e una figura di merda in diretta di Emilio Fede. Per altri, il fatto che il primo western che recensisco su questo blog sia di fatto una parodia potrà sembrare barare. Ma cosa posso dirvi? Mi ci vorranno almeno un centinaio di visioni per poter disquisire degnamente sulla trilogia del dollaro o su Sentieri selvaggi, mentre sento che già dopo due visioni le mie idee su Lo chiamavano Trinità siano abbastanza chiare. Ebbene sì, si torna a parlare di cult e di cinema italiano, quindi direi di non indugiare oltre.

La seconda metà degli anni '60, in Italia, era un periodo dominato dallo spaghetti western. Il maestro Sergio Leone aveva rimodellato il genere forse più americano di sempre trasformandolo in qualcosa di nuovo, e gli altri registi di genere nel Paese non avevano tardato a prendere appunti. Presto scoppiò una vera e propria invasione di epigoni “leoniani”, alcuni di altissimo livello, altri decisamente più scontati. Nacquero i western politici, i thriller western, addirittura gli horror western, arrivando inevitabilmente alla parodia, con esempi come Il bello, il brutto e il cretino con Franco e Ciccio.

Hill e Spencer nei ruoli di Trinità e Bambino
Arrivati però al 1970, lo spaghetti western, così com'era esploso, stava lentamente sfiorendo sotto il peso del manierismo, e quello che fece E.B. Clucher (all'anagrafe Enzo Barboni) con Lo chiamavano Trinità fu forse il segnale più chiaro dell'inevitabile declino del genere. Del resto, si sa, quando dalla serietà si vira verso la farsa vuol dire che il filone si è esaurito, e il ricorso alla commedia è spesso visto come l'ultima spiaggia a cui approdare per salvarsi da un mare di banalità. Fortunatamente, però, Lo chiamavano Trinità è molto di più che una semplice parodia: è una felicissima fotografia del cinema italiano anni '70, di quella commedia che ancora osava mischiarsi al serio e che nella storia dei due fratelli Bambino e Trinità (due fantastici Bud Spencer e Terence Hill, lanciati proprio con questa pellicola) gioca con gli stereotipi del western all'italiana fondendoli con quelli della commedia slapstick, dando vita a un ibrido che sembra tutt'altro che innaturale.

Del resto, non appena le nostre orecchie avvertono il tema musicale di Franco Micalizzi fischiato dal mitico Alessandro Alessandroni, l'uomo dietro il famoso fischio delle musiche di Morricone per i film di Leone, veniamo subito trasportati in un'atmosfera decisamente familiare: a questi suoni tanto tipici quando splendidi si aggiungono le immagini delle primissime inquadrature, con un pistolero dai vestiti sporchi e dal cappello calato sul volto, talmente svogliato da lasciarsi trascinare dal suo cavallo sdraiato su una treggia, che per di più nemmeno parla per i primi 5 minuti di film.
È chiaramente un tipico personaggio alla Clint Eastwood, un semi-fuorilegge dalla mira infallibile e dal cuore d'oro, che incontra un ex bandito diventato sceriffo con il quale si allea per combattere un perfido latifondista che perseguita un'innocua comunità. Eppure, alla fine si ha la sensazione di aver assistito più a un cartone animato di Tex Avery che a un classico western all'italiana. Le sparatorie lasciano il posto ai pugni e ai ceffoni, e l'antieroe solitario non è più così tanto solitario, legato com'è al burbero fratello, un Bud Spencer che a quest'immagine da gigante buono dovrà gran parte della sua fortuna, con quel suo tipico sguardo svogliato che ti dà l'impressione che sia quasi costretto a fare uso della sua forza, quando preferirebbe farne a meno.
Le scene clue sono troppe da citare: Trinità che divora voracemente il suo piatto di fagioli salvo poi sentenziare che “facevano schifo”, Bambino che si libera dei tre uomini del maggiore Harriman in una frazione di secondo, la fantastica rissa tra mormoni e banditi alla fine del film, in cui la violenza viene stemperata da gag ed effetti sonori ormai diventati iconici. Per non parlare del finale, con Trinità che, dapprima deciso ad unirsi alla pacifica comunità di mormoni attratto dall'allettante idea della poligamia, scappa a gambe levate non appena apprende del duro lavoro e della costante preghiera che quello stile di vita impone. Anche gli aneddoti riguardo la produzione si sprecano: pare che per la scena dei fagioli Terence Hill si preparò digiunando per almeno 24 ore, mentre per i ceffoni si allenava tutti i giorni a casa sua schiaffeggiando una colonna, suscitando la perplessità della moglie, preoccupata per la sua sanità mentale.

Terence Hill nella famosa scena dei fagioli

Come tutti sappiamo, la formula delle "scazzottate" si rivelerà estremamente di successo, tanto da costruire la fortuna di tre intere carriere, quella di Barboni, che sfruttò l'onda del successo per sfornare immediatamente un sequel, e quelle di Spencer e Hill, per oltre un ventennio beniamini del pubblico italiano, e non solo.

Un film dunque impossibile da non guardare col sorriso, che oltre a inserirsi perfettamente nel vasto ed eterogeneo panorama della commedia all'italiana raccoglie degnamente il testimone di un'epoca ormai al tramonto, ma che per un breve periodo conoscerà rinnovata popolarità sotto forma di quello che qualcuno, non senza un velo di ironia, ha battezzato "fagioli western". Se tale termine sia spregiativo o lusinghiero lo lascerò decidere a chi di voi avrà voglia di dare un'occhiata a questo pezzo di storia dell'immaginario collettivo italiano. Nel frattempo io vi saluto e vi do appuntamento alla recensione di Halloween! A presto!


Dati tecnici


Regia: E.B. Clucher

Anno: 1970

Paese di produzione: Italia

Casa di produzione: Delta

Fotografia: Aldo Giordani

Musiche: Franco Micalizzi