martedì 11 luglio 2023

SOLDI SPORCHI, DI SAM RAIMI

 Chi è Sam Raimi?


Una domanda semplice ma a cui risponderemmo tutti in modo diverso a seconda della generazione a cui apparteniamo. Per alcuni, è il grande inventore che da un budget ridicolo e una produzione indipendente ha tirato fuori la trilogia della Casa, tra le più iconiche della storia dell'horror; per altri, me compreso, è prima di tutto il regista dei tre Spider-Man con Tobey Maguire, con cui negli anni 2000 ha settato i canoni per un altro genere, quello supereroistico, firmando con Spider-Man 2 uno dei migliori titoli del filone; altri ancora, addirittura, potrebbero associare il suo nome a quello di serie televisive cult degli anni '90 come Hercules e Xena – Principessa guerriera, da lui prodotte e che, nel bene e nel male, hanno segnato l'immaginario televisivo di molti di noi nati negli anni '90.

Ma quando si dà un'occhiata alla sua intera filmografia e si osserva la grande quantità di generi da lui affrontata in quarant'anni di carriera, ci si rende conto che la vera risposta alla domanda di cui sopra non può che essere una e una soltanto: Sam Raimi è un artista.

Ciò che spesso ci si dimentica, infatti, è che dopo aver mosso i primi passi nell'horror e prima di trovarsi a capo di produzioni milionarie da parte di Sony e Disney (sempre e comunque con un certo gusto) il regista del Michigan si è destreggiato con abilità nei generi più disparati, dalla commedia (l'indipendente I due criminali più pazzi del mondo, inaspettato successore del primo La casa) al western (Pronti a morire), dal thriller (The Gift) al dramma sportivo (Gioco d'amore), passando per un cinecomic di nome ma non di fatto come Darkman, pioniere e anticipatore degli exploit ragneschi del nostro negli anni 2000, anche se molto più cupo e... raimiano, passatemi il neologismo.
E tra tutte queste opere, alcune più riuscite di altre ma sempre degne di almeno una visione, quella su cui mi soffermerò oggi è quel dramma del 1998 che risponde al titolo di A Simple Plan e che noi italiani conosciamo come Soldi sporchi.

In un'atmosfera nevosa che rimanda al capolavoro Fargo dei fratelli Coen (amici di vecchia data e collaboratori di Raimi ai tempi delle sue prime regie indipendenti) il settimo film del regista ruota intorno a due fratelli e un loro amico che, durante una camminata in un bosco innevato alla ricerca di una volpe che minaccia il pollaio della fattoria di Hank, il secondogenito, trovano una borsa piena zeppa di banconote all'interno di un aereo precipitato da poco in quella zona. L'intreccio ruota attorno alla decisione da prendere, se tenersi i soldi o denunciare tutto alla polizia, e la crescente preoccupazione e tensione fra i tre non tarderà a ingigantirsi e a trasformare i loro rapporti, specialmente quello fra Hank e suo fratello maggiore Jacob, affetto da una leggera forma di disturbo dell'apprendimento.

Sam Raimi
Per la prima volta alle prese con un soggetto calato in un contesto particolarmente sobrio, Raimi si dimostra ancora una volta perfettamente in grado di adattare il proprio stile alla storia che deve raccontare, facendo per la prima volta un uso massiccio della camera fissa e affidandosi al massimo a lenti movimenti di macchina che si attaccano ai personaggi, alle loro espressioni, e descrivono perfettamente gli ambienti, mentre l'ottimo montaggio di Eric L. Beason e Arthur Coburn fa il resto.
Il tema centrale del denaro e le ambientazioni invernali non possono che far pensare a Fargo, ma un aspetto fondamentale è che qui l'ironia che permeava la pellicola dei Coen anche nei risvolti più drammatici e truculenti è completamente assente: Soldi sporchi è meno una satira nera di stampo poliziesco e più uno studioantropologico , un'analisi su come l'avidità e l'attaccamento al denaro porti inevitabilmente alla corruzione della mente umana e al deteriorarsi sempre più della propria coscienza, tanto da condurre anche il più onesto degli uomini a compiere il più immondo degli atti.
Alla fine, la borsa di soldi è un mcguffin necessario all'autore per focalizzarsi più che altro sulle azioni verso cui i soldi spingono i personaggi, in quella feroce critica allo strapotere del dio denaro sempre presente nelle opere di Raimi. Contribuisce al tutto la bravura degli attori, con un ottimo Bill Paxton in un raro ruolo da protagonista (molti di voi lo ricorderanno per i suoi ruoli secondari in molti film di James Cameron), una convincente Bridget Fonda e soprattutto un memorabile Billy Bob Thornton nel complesso e sfaccettato ruolo di Jacob, premiato giustamente con una candidatura all'Oscar come miglior attore non protagonista.
Il tutto è infiocchetatto alla perfezione dalle ottime musiche di Danny Elfman, tra i principali collaboratori del regista fin dai tempi di Darkman e una delle firme più talentuose nel campo della musica per il cinema, come avrà modo di dimostrare con le sue colonne sonore per i primi due Spider-Man.

Insomma, Soldi sporchi è un neo-noir da antologia che il buon Sam Raimi gestisce con una grazia impeccabile, e, pur essendo forse tra i suoi film meno conosciuti, è uno dei tanti testamenti della sua poliedricità e del suo enorme talento, purtroppo sempre più soffocati sotto lavori su commissione e produzioni mastodontiche che piegano un autore di grande spessore alle brutali logiche del mercato.
Nella speranza in un futuro con più Soldi sporchi, Darkman, e Drag Me to Hell e meno Doctor Strange nel multiverso della follia, vi esorto a recuperare questa piccola perla, dimenticata dai più come molte altre opere del maestro.

Dati tecnici

Regia: Sam Raimi

Anno: 1998

Paese di produzione: Regno Unito, Germania, Stati Uniti d'America, Francia, Giappone

Casa di produzione: Paramount Pictures

Fotografia: Alar Kivilo

Montaggio: Eric L. Beason, Arthur Coburn

Musiche: Danny Elfman

sabato 1 luglio 2023

FRESCO DI CELLULOIDE: IL SOL DELL'AVVENIRE, DI NANNI MORETTI

Benvenuti, amici e amiche, ad una nuova puntata di Fresco di celluloide, la rubrica in cui vi parlo di film appena usciti al cinema. Sì, lo so, ci vuole coraggio da parte mia per includere in questa rubrica un film presente nelle sale già da quasi tre mesi, ma sono riuscito a recuperarlo al cinema solo pochi giorni fa, quindi meglio tardi che mai. E poi, francamente, non vedevo l'ora di farvi sapere il mio parere sull'ultimo lavoro di uno degli autori del nostro Paese che più stimo e a cui sono più affezionato, il buon vecchio Nanni Moretti.

Da un po' di anni si ha la sensazione che il cinema, nato a fine '800 come meraviglia avveniristica al limite del fantascientifico, sia diventato un'arte rivolta più verso il passato che verso il futuro. Stiamo vivendo un'epoca di nostalgia, di passatismo e di rivalutazione a tutti i costi, in cui franchise morti da anni vengono riesumati e le posizioni più alte nelle classifiche degli incassi sono riservate spesso a sequel come Top Gun: Maverick, concepiti e percepiti alla stregua di veri e propri manifesti di apologia nei confronti di contesti culturali (e superficiali) a cui guardare indietro con una glorificata nostalgia e un velo di malinconico rimpianto. Una tendenza, questa, sempre più opprimente, che non accenna a cedere il passo, che continua a catalizzare l'attenzione di un pubblico sempre più impigrito e sempre più a suo agio nell'inerzia in cui il cinema di largo consumo sembra essersi rifugiato, refrattario come mai prima d'ora a quella spinta innovativa così tanto presente ai suoi esordi.
Fortunatamente, come per tutte le cose, anche all'interno di questo panorama stagnante c'è spazio per un rovescio della medaglia. Artisti che si distinguono guardando al passato per costruire il futuro, che imparano dalla tradizione per inventare i se stessi che sono e saranno. Persino autori navigati come Quentin Tarantino, Martin Scorsese, Woody Allen, David Cronenberg hanno tirato fuori, con le loro ultime opere, qualcosa che va ben oltre il semplice rivangare un passato glorioso, che si rifanno sì al (auto)citazionismo ma che funzionano prima di tutto come potenti rivendicazioni delle rispettive poetiche in un'epoca moderna completamente diversa da quelle da cui provengono, poetiche che nonostante, anzi, grazie al passare decenni, durante i quali sono maturate ed evolute, risultano ancora più che mai attuali e di rilievo.

Ciò che è interessante riguardo Il sol dell'avvenire, ultima fatica di Nanni Moretti presentata a Cannes, è come si inserisca perfettamente in questo stesso contesto, con in più un che di sognante che la rende vicina ad uno spirito che oserei definire tarantiniano.
A 70 anni di età e dopo quasi 50 anni di carriera, l'autoreferenzialità che Moretti inserisce immancabilmente nelle sue opere raggiunge forse il culmine: il metacinema, la disillusa critica politica di sinistra, le idiosincrasie, l'amore per la musica pop italiana, tutto ritorna prepotentemente, ma mai con lo stesso identico spirito visto in pellicole precedenti. Le autocitazioni a Moretti stesso e al suo cinema sono parte integrante dello spirito dell'opera, negli attori feticcio (Silvio Orlando e Margherita Buy in primis), nelle tematiche, nella stessa presenza in scena del regista, che torna ad essere protagonista al 100% svestendosi di vecchi alias come quello di Michele Apicella, e presentandosi con il suo nome di battesimo, Giovanni, e la sua personalità.
Non è certo la prima volta, nella pluridecennale filmografia del regista, che tutto ciò avviene, ma qui sembra acquisire una valenza profondamente diversa.
Nella storia di un regista (naturalmente) che cerca di girare un film pessimista e polemico spinto da forti ideali politici si intravede l'eredità di opere precedenti come
Il caimano o Aprile, riemerge la visione spassionata e di poche speranze di Ecce bombo, permane la sferzante ironia autocritica di Caro diario, ma il tutto non è semplicemente messo in scena in virtù di una sterile retroattività. Moretti guarda dentro se stesso e dentro il suo cinema come non aveva mai fatto, e arrivati alle battute finali del film, dopo aver toccato forse il fondo con una delle scene più drammatiche ma allo stesso tempo sobrie dell'intera filmografia del regista, tutto si ribalta completamente, le carte in tavola vengono rimescolate e da un'amara riflessione sulle sconfitte, sia personali che di una grossa fetta della generazione italiana figlia degli anni di piombo, si passa improvvisamente a quello che meno ci si aspetterebbe da un artista di questo tipo, di quest'età e di questa formazione artistica e politica: un inaspettato inno di speranza, una sorta di bagliore in fondo al tunnel che rende Il sol dell'avvenire (e da qui il titolo particolarmente azzeccato) l'opera forse più positiva mai girata da Moretti.

Ed è così che alla fine, dopo un'ora e mezza pregna di riflessioni, eppure tutt'altro che pesante, il film assume un valore testamentario, si trasforma in una summa della poetica e della filosofia di una persona, prima che di un artista, una persona che mi sembra ormai di conoscere più di quanto avrei mai immaginato, nonostante lo segua da pochissimi anni.
Potrà risultarvi molto strano, e risulta strano anche a me, quanto io mi senta rappresentato dalla poetica di un uomo con più del doppio dei miei anni, ma è anche questa la bellezza del cinema di Moretti: parlando di sé, parla un po' di tutti noi, e questo è forse l'aspetto del suo cinema che meno è cambiato in tutti questi decenni.
Tutte queste mie righe e tutto il testamento cinematografico di questo autore si materializzano magnificamente nel finale del film, felliniano fino al midollo e di fronte al quale tanto gli ex ventenni che erano presenti fin dai tempi di Io sono un autarchico, sia i molti ventenni di adesso che hanno scoperto da poco la sua filmografia e che vi si riconoscono, non potranno non commuoversi ripensando ad uno dei percorsi artistici più sinceri e unici dell'intero panorama cinematografico italiano. Un percorso che ci ha dato davvero tanto e che, speriamo, non sia ancora finito.

Grazie, Nanni. Grazie di tutto.

Dati tecnici

Regia: Nanni Moretti

Anno: 2023

Paese di produzione: Italia, Francia

Casa di produzione: Sacher Film, Fandango, Rai Cinema, Le Pacte

Fotografia: Michele D'Attanasio

Montaggio: Clelio Benevento

Musiche: Franco Piersanti