Amici e amiche, benvenuti ad un nuovo appuntamento con fresco di celluloide, la rubrica in cui vi parlo brevemente di titoli appena usciti. Il film di oggi è uno di quelli prodotti da Netflix che fortunatamente sono riuscito a vedere nel modo che di merita: in sala.
Sto parlando del Pinocchio di Guillermo Del Toro, ennesima trasposizione del romanzo di Collodi.
Inutile citare le innumerevoli versioni di questo capolavoro dell'infanzia che abbiamo visto in passato, che variano tra il notevole (il film Disney del 1940) e l'imbarazzante (il remake della Disney del suo stesso classico affidato al povero Robert Zemeckis). Basta solo dire che quest'ultima incarnazione riesce ad avere un'identità tutta sua nonostante l'enorme, ingombrante bagaglio che si porta dietro.
I pregi di questa versione deltoriana sono molti ed evidenti. Innanzitutto quello che più balza all'occhio, l'aspetto tecnico: il film è realizzato con la tecnica della clay motion, l'animazione a passo uno con la plastilina, e il risultato è notevole. Del Toro, alla sua prima esperienza con l'animazione, si affida alla leggendaria Jim Henson Productions, e se questo nome non vi dice nulla sappiate solo che si tratta della compagnia dietro a personaggi come i Muppets e produzioni come Labyrinth e Dark Crystal. Non stupisce, alla luce di ciò, che i modelli, le animazioni e i set siano di un livello altissimo, e contribuiscono a stabilire un tono molto chiaro e personale fin dai primi minuti.
La sceneggiatura è semplice ma non banale, e si discosta più volte dal soggetto originale di Collodi, stravolgendone forse in parte lo spirito, ma aggiungendo nuove implicazioni: l'aspetto forse più interessante del film è il fatto di essere ambientato nell'Italia del periodo fascista, e ciò serve da spunto per una palese critica nei confronti del regime, a tratti satirica, a tratti drammatica. Una componente politica che sfigura se paragonata a quella simile vista in altre opere dell'autore come Il labirinto del fauno, ma che in un film pensato principalmente per l'infanzia come questo volge adeguatamente al suo scopo educativo.
L'unica cosa che non mi ha convinto sono le canzoni, scritte, come la colonna sonora in generale, dall'ottimo Alexandre Desplat. Non sono certamente brutte, ma al di là della prima, diegetica e giustificata narrativamente, la loro inclusione suona a mio parere piuttosto forzata. Personalmente ne avrei fatto a meno.
Pinocchio di Guillermo Del Toro è comunque un ottimo prodotto da far vedere a un bambino, non banale, con momenti a tratti profondi e una buona dose di cupezza che non dovrebbe mai mancare in una trasposizione come si deve del racconto di Collodi. Personalmente, continuerò a preferire la versione disneyana del 1940, ma è una semplice questione di gusto personale.
Vi consiglio pertanto di recuperarvi quest'ultima fatica del buon Del Toro, sperando che riesca presto a realzizare la sua trasposizione delle Montagne della follia di Lovecraft. Nel frattempo, vi auguro buone feste e vi do appuntamento con la lista dei migliori film dell'anno!