venerdì 8 luglio 2022

NOSFERATU, PRINCIPE DELLA NOTTE, DI WERNER HERZOG


Fare un remake è sempre un'arma a doppio taglio. Per loro stessa natura, i remake rappresentano in quasi ogni caso una grande contraddizione, ponendo il regista nella scomoda posizione di dover scegliere se allontanarsi dall'opera originale, rischiando di renderla irriconoscibile, o attenersene troppo, vanificando l'intento stesso dell'operazione.

E finché si tratta di dare una seconda possibilità a vecchi tentativi non completamente riusciti, in cui è comunque possibile rintracciare del potenziale su cui costruire, può avere senso riprenderli in mano e tornare a lavorarci sopra, anche dopo tanto tempo (penso a La fabbrica di cioccolato, di cui, lo dico rischiando di far infuriare qualcuno, preferisco il remake di Tim Burton). I problemi arrivano quando si mette mano a film che sono già di per sé opere di ottima fattura, se non addirittura capolavori che hanno forgiato la storia del cinema.

È esattamente il caso di Nosferatu, principe della notte, remake di Werner Herzog della pietra miliare espressionista del 1922 di Friedrich Wilhelm Murnau Nosferatu il vampiro.

L'opera di Murnau, liberamente tratta dal Dracula di Bram Stoker, ha un'importanza troppo enorme per essere riassunta e banalizzata in due righe, ragion per cui eviterò di dilungarmi a riguardo e mi limiterò a consigliare a chiunque non l'abbia già fatto di correre a guardarla al più presto. Basti sapere che Herzog, tra i registi più interessanti della nuova corrente cinematografica tedesca sviluppatasi a partire dagli anni '60, considera l'originale Nosferatu il miglior film tedesco di sempre, e chi siamo noi per contraddirlo? Il suo remake è infatti un tributo, un atto d'amore non verso un singolo film, ma verso un intero movimento, l'espressionismo tedesco, che alla settima arte ha dato molto più di quanto lo spettatore medio possa intuire. Gli innumerevoli spunti tematici e stilistici di pellicole come questa e altre di Murnau, di Fritz Lang, di Robert Wiene, di Paul Wegener, si sono protratte ininterrottamente nel corso dell'ultimo secolo, andando a influenzare tutto e tutti: sono evidenti i richiami espressionisti nei film dei primi veri autori horror americani, nati in seno alla Universal (Whale, Browning...), nelle poesie moderne di gente come Tim Burton o Guillermo del Toro, passando addirittura per certe commedie (mi viene in mente Woody Allen con il suo Ombre e nebbia).

Werner Herzog

E persino all'interno del semplice e diretto nuovo cinema tedesco, i cui maggiori esponenti si ispiravano alla nouvelle vague francese e al neorealismo italiano, gli echi dei maestri del passato non poterono che farsi sentire, come dimostra l'omaggio che un giovane autore come l'Herzog degli anni '70 ha voluto riservare a quello che è probabilmente, insieme a Metropolis di Lang, il testamento più importante lasciato dall'espressionismo.

Il regista bavarese parte dal riappropriarsi della fonte letteraria originale, che Murnau tentò di nascondere per evitare ripercussioni sui diritti d'autore, cambiando i nomi dei personaggi e trasportando l'azione dall'Inghilterra alla Germania. La rappresaglia legale da parte degli eredi di Bram Stoker che rischiò di condannare il film di Murnau era ormai un pericolo scongiurato dal tempo, visto che negli anni '70 i diritti sul romanzo erano già diventati di dominio pubblico. Adesso, dunque, il conte Orlok è libero di essere chiamato Dracula e Hutton riprende la sua identità di Jonathan Harker. Mentre per qualche strano motivo i personaggi di Mina e Lucy vengono scambiati, ed è quest'ultima a svolgere il ruolo di maggior rilievo, mentre la seconda viene relegata quasi a una comparsa. L'elemento principale mantenuto nell'aggiornamento herzoghiano è naturalmente l'ambientazione tedesca, essenziale per l'affermazione dell'orgoglio teutonico che rappresenta buona parte della motivazione del regista, che costruisce con questo remake un ponte ideale tra la vecchia Germania cinematografica, quella pre-nazista, e quella nuova, ormai da tempo rinata eppure dilaniata dagli esiti post-bellici e dai conseguenti giochi di potere dettati dalle rigide logiche della guerra fredda.

I temi figurativamente riscontrabili nel Nosferatu del '22 possono infatti essere considerati ancora attuali 50 anni dopo, per non dire eterni. L'arrivo in Germania di un elemento misterioso, crudele, seminatore di morte e panico può ed è stato interpretato in tantissimi modi. Negli anni è stato visto tanto come un'allegoria dell'ascesa degli ideali di estrema destra fra le spire della Repubblica di Weimar quanto come un'antisemitica analogia con la diffusione sempre maggiore delle genti ebraiche immigrate dall'est. Ma ciò che rende in particolare quello della peste un elemento rilevante non solo nel tessuto narrativo delle due opere, ma anche in quanto forte simbologia, è la sua facoltà di applicarsi, a distanza di decenni, alla situazione di un Paese fortemente cambiato dopo la guerra, esattamente come era cambiato quello stesso Paese nei primi anni '20, all'indomani della prima guerra mondiale. La paura dell'ignoto, il timore per il futuro, il terrore nei confronti di un mondo esterno in continuo conflitto sono rappresentati dal personaggio del vampiro Dracula, che, nelle sue “vesti” di Nosferatu, irrompe nel villaggio come una sinistra, subdola forza estranea.

Klaus Kinski nei panni di Nosferatu

Questa naturale trasfusione di temi e sensazioni è messa in atto con grande gusto estetico da Herzog, che, sfruttando i mezzi che il tempo gli ha messo a disposizione (il colore e il sonoro), impreziosisce l'esperienza visiva con paesaggi splendidi, quasi dei personaggi veri e propri, catturati tra l'Olanda e la Cecoslovacchia, visto che il regista non poté girare dove girò Murnau, ovvero a Wismar.
Nonostante ciò, la pellicola mantiene per tutto il tempo un'aura di inquietante realismo, pur tenendo sempre un piede nel grottesco. Esemplare, in questo senso, la scena in cui Lucy vaga smarrita per la piazza del paese afflitto dalla peste, incontrando gente danzante, animali da pascolo lasciati liberi per le strade e i commensali di un'emblematica “ultima cena” nel mezzo della piazza, seduti a mangiare e degustare vino mentre i ratti li circondano, con le tombe delle vittime alle loro spalle. Un'immagine a dir poco grottesca, ma altrettanto poetica, che richiama un po' Leonardo Da Vinci, un po' il teatro dell'assurdo.

Le musiche sono curate dai Popul Vuh, gruppo della corrente Krautrock fondato da Florian Ficke già responsabile di altre colonne sonore per film di Herzog, come Aguirre, furore di Dio e, in seguito, Fitzcarraldo. Le atmosfere new age e psichedeliche della band, che a tratti adattano classici della musica colta, si sposano perfettamente con le immagini, amplificando la possenza e il mistero dei paesaggi dell'est Europa che il protagonista si trova a vagare, di una bellezza intimidatoria dal sapore quasi lovecraftiano.

E a proposito del protagonista, il cast è perfettamente azzeccato, e svolge un ottimo lavoro

nel trasmettere la drammaticità della vicenda. Ma, senza nulla togliere a interpreti del calibro di Bruno Ganz (Harker) e Isabelle Adjani (Lucy), a spiccare su tutti è ovviamente Klaus Kinski: sotto la cupa maschera, letterale e figurata, di Nosferatu, Kinski, alla sua terza collaborazione con l'amico Herzog, tira fuori una delle interpretazioni migliori della storia dell'horror, che non sfigura affatto di fianco a quella ancora più leggendaria del fantomatico Max Schreck, carismatico interprete del Nosferatu originale. Il pesante e complesso trucco applicato sul suo volto, per quanto eccezionale, fa solo una parte del lavoro, e Kinski, esattamente come Schreck, è talmente intenso nella sua recitazione da sembrare realmente una creatura ultraterrena.

Con il suo Nosferatu Herzog impartisce una perfetta lezione su come si dovrebbe realizzare un remake, prendendo spunto dalla fonte di riferimento, adattandola alla propria sensibilità e dimostrando in tal modo l'attualità di un'opera immortale della cinematografia tutta, di genere e non, europea e non, di nicchia e non.
E infine, attendendo con curiosità la versione di Robert Eggers, a mio parere forse l'autore contemporaneo che più si presta a un secondo remake di questo film, invito tutti gli amanti del cinema che non si sono mai avvicinati a Nosferatu, che siano neofiti o appassionati di lunga data, a godere appieno di queste due perle, l'una remake dell'altra eppure, caso più unico che raro, entrambe dei capolavori indiscussi.


Dati tecnici

Regia: Werner Herzog

Anno: 1979

Paese di produzione: Germania Ovest, Francia

Casa di produzione: Werner Herzog Filmproduktion, Gaumont

Fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein

Musiche: Popul Vuh