La prima cosa che viene in mente
quando si sente la parola “animazione” è senza dubbio la Disney.
Certo, c'è chi preferisce altri tipi di animazione, c'è persino chi
odia la Disney, ma nemmeno i detrattori più agguerriti possono
negare l'importanza che questo studio, e il suo fondatore in
particolare, hanno avuto per lo sviluppo di questa arte. Un'arte nata
col cinema stesso, a fine '800, con i lavori di pionieri come Émile
Cohl e Windsor McKay, i cui semi si possono rintracciare in realtà
addirittura secoli prima, con l'invenzione della lanterna magica.
Fantasmagorie,
cortometraggio di Cohl del 1908, è considerato il primo vero cartone
animato della storia, mentre nel 1917 l'italo-argentino Quirino
Cristiani realizzò El Apóstol,
il primo lungometraggio d'animazione, realizzato con la tecnica della
cut-out animation e
andato purtroppo perduto. Sempre in cut-out
sono le opere di Lotte Reiniger, animatrice tedesca che, con Achmed,
principe fantastico, 1926,
realizza il lungometraggio animato più antico giunto fino a noi.
Tutte opere
fondamentali per la storia del cinema in generale, ma la prima vera
grande svolta nella storia di questa tecnica si ha alcuni anni dopo,
nel 1937, e si deve proprio a Walt Disney.
Questo è il primo
appuntamento con quella che spero di trasformare in una serie, qui
sul blog.
Una serie in cui
recensisco, uno dopo l'altro, ogni classico Disney, dalle origini
fino a oggi. Tuttavia, considerando la mia scarsa abilità
nell'essere costante in qualsiasi cosa, specialmente questo blog
(l'ultimo post risale a un mese fa, ops), non mi prefiggerò alcuna
frequenza o deadline specifica per la pubblicazione di queste
recensioni, prendendomi ogni volta il tempo per scrivere nel miglior
modo che posso. Questa stessa recensione mi ha preso circa due mesi
di lavoro, e in futuro vorrei restare libero di parlare anche di
altri film, e non solo (ho già in cantiere qualche progetto...).
Detto questo,
cominciamo, com'è d'uopo, dall'inizio di tutto..jpg) |
Walt Disney nel trailer di Biancaneve |
Prima
che il suo nome diventasse un
marchio sinonimo di capitalismo, Walter Elias Disney era un semplice
ragazzo del midwest,
che, dopo aver svolto decine di lavori diversi e dopo innumerevoli e
ammirevoli tentativi e fallimenti, era riuscito a centrare il cuore
degli spettatori con i suoi cortometraggi, realizzati insieme
all'amico e infaticabile collaboratore Ub Iwerks. Un'impresa già di
per sé non da poco, considerando che tutto ciò, con la creazione di
Topolino e il varo delle Silly
Simphonies,
avviene a cavallo fra gli anni '20 e '30, il periodo considerato la
golden
age
dell'animazione, in cui la concorrenza era variegata e spietatissima.
Walt,
come tutti noi, era un uomo dai mille difetti, e su di lui se ne sono
dette di cotte e di crude, ma se c'è una cosa a cui di certo si può
credere è questa: era un sognatore. E quando si trattava di tradurre
in realtà quello che sognava era una forza inarrestabile, pronto a
inimicarsi qualunque cosa e persona che lo ostacolasse. Fu proprio la
sua testardaggine, la sua voglia di superarsi e di spingere il mezzo
animazione oltre i suoi limiti che lo portò, nel 1934, a partorire
un'idea assurda: produrre un lungometraggio interamente animato. Non
con le sagome ritagliate nella carta, come nei lavori di Cristiani o
di Reiniger, ma completamente disegnato a mano, dall'inizio alla
fine, con la tecnica nota nell'ambiente come cel
animation.
Ai tempi tutti considerarono questo progetto una follia, un'utopia
irrealizzabile, tanto che sia la moglie che il fratello di Walt
tentarono di fargli cambiare idea, la stampa dell'epoca lo derise,
Disney divenne praticamente una barzelletta sulla bocca di tutti, ma
nonostante tutto lui non si arrese mai. E così, nel giugno 1934
annunciò al suo staff l'intenzione di mettere in scena uno dei
racconti della sua infanzia, Biancaneve
e i sette nani
dei fratelli Grimm, mosso anche dal ricordo, di quando aveva 15 anni,
della versione muta del 1917 di J. Searle Dawley.
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Lo staff dello studio Disney nel 1932 |
È
difficile, con la mentalità di oggi e i mezzi a disposizione,
cogliere veramente l'imponenza di un lavoro del genere negli anni
'30. A partire dall'aspetto finanziario: il budget del film ammontò
a quasi un milione e mezzo di dollari. Una cifra inconcepibile per
l'epoca, laddove il costo per realizzare una normale Silly
Symphony
si aggirava intorno ai 25.000 dollari, tanto che Walt dovette
ipotecare la propria casa e chiedere un prestito alla Bank of
America, che ottenne mostrando al presidente Joseph Rosenberg una
versione non ancora finita del film. Pare infatti che Rosenberg,
rimasto impassibile per tutta la proiezione, alla fine si girò e
dichiarò: “Walt, questa cosa incasserà una marea di soldi!”.
E
questo è niente in confronto al vero e proprio processo di scrittura
e animazione, un'odissea creativa che richiese tre anni di sviluppo e
lo sforzo collettivo dell'intero team in forza allo studio Disney. Si
parla di circa 750 persone, tra animatori, sceneggiatori,
inchiostratori e assistenti vari, e migliaia e migliaia di disegni
realizzati. Nomi che in pochi oggi ricordano, come David Hand, Ward
Kimball, Art Babbitt, Joe Grant, Larry Morey e tantissimi altri,
rimarranno indelebilmente nella storia dell'intrattenimento per
immagini, così come quelli di coloro che lavorarono al soggetto e
alla sceneggiatura, forse l'aspetto che richiese più tempo e sforzi.
E il motivo di ciò è presto detto.
Disney
e il suo team erano abituati a lavorare a pellicole umoristiche che
dovevano esaurirsi in massimo 10 minuti, in cui erano più che altro
le gag o al massimo la creatività artistica e visiva
a
costituirne l'ossatura. Per un film vero e proprio si capì presto
che la spina dorsale narrativa doveva essere ben più resistente:
vennero dunque eliminate le tantissime scene pensate ma non
realizzate che davano molto più spazio al principe e ai nani,
inizialmente protagonisti di numerose parentesi comiche che deviavano
dal conflitto principale fra Biancaneve e la regina Grimilde e, di
conseguenza, dalla drammaticità della situazione. Alcune di queste
scene tagliate che oggi definiremmo “riempitivi” furono
addirittura completamente animate, come quella in cui i nani
costruiscono un letto come regalo per Biancaneve, col dispiacere di
Ward Kimball, animatore di quella sequenza, che Walt convinse a non
lasciare lo studio dandogli l'importante incarico di supervisore per
l'animazione del Grillo Parlante in Pinocchio, seconda fatica
dello studio in termini di lungometraggi.
Insomma, piuttosto che
una sequela scollegata di situazioni comiche la sceneggiatura doveva
avere la struttura di qualsiasi altra sceneggiatura della Hollywood
del periodo, con un inizio, uno svolgimento e una conclusione. Ma,
d'altra parte, l'umorismo era comunque fondamentale per dare respiro
alla storia, tanto che Walt stimolò i suoi artisti promettendo un
bonus di 5 dollari per ogni gag che trovasse divertente.
Il
processo di scrittura, come avrete intuito, fu particolarmente
complicato, e non mancano gli aneddoti interessanti a riguardo.
Pensate, ad esempio, che ben due nomi storici del fumetto
incrociarono le loro strade con la lavorazione di Biancaneve:
Merril De Maris, in quel periodo autore dei testi delle storiche
strisce quotidiane di Topolino disegnate dal maestro Floyd
Gottfredson, figura fra gli sceneggiatori del film, mentre niente po'
po' di meno che Carl Barks, tra i più grandi fumettisti di sempre,
entrò nel 1935 in forza alla Disney proprio grazie a degli schizzi
di idee per il film che inviò allo studio. Le sue proposte non
vennero considerate, ma lavorò alle dipendenze di Walt, prima come
intercalatore e poi come sceneggiatore e gagman, fino al 1942,
quando deciderà di dedicarsi esclusivamente al fumetto.
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Una
volta delineata la piega che avrebbe preso la storia, il cui soggetto
venne scelto anche perché, fra le opere dei Grimm, era considerato
il più adatto a coprire una durata di un'ora e venti, restava la
fase più complessa e delicata: l'animazione.
Come
per l'aspetto narrativo, anche il livello delle animazioni doveva
essere superiore, per fare da traino alla maggior serietà della
trama. Lo staff di creativi, spinti del veterano Art Babbitt,
parteciparono a delle lezioni private tenute dall'insegnante d'arte
Donald Graham, che insegnò agli artisti dello studio come migliorare
e ottimizzare la loro tecnica, specialmente riguardo l'animazione dei
personaggi umani, tra gli aspetti più difficoltosi all'epoca.
Fondamentale in quest'ottica fu il corto delle Silly Symphony
del 1934 La dea della primavera, rappresentazione del mito di
Ade e Persefone che per la prima volta sperimentò con figure umane
realistiche. Nonostante i risultati non ancora eccezionali,
rappresentò un punto di partenza imprescindibile da cui partì
l'animatore Grim Natwick, famoso per il suo lavoro ai Fleischer
Studios sul personaggio di Betty Boop e responsabile della
protagonista Biancaneve. Per facilitare un minimo il lavoro (e in
parte anche per velocizzarlo), gli animatori optarono con riluttanza
per l'utilizzo del rotoscopio, strumento inventato proprio dai
Fleischer che rendeva possibile ricalcare i movimenti da filmati live
action in modo da ottenere animazioni più convincenti: fu la
tecnica impiegata parzialmente per animare Biancaneve, il principe e
la regina Grimilde, e fu uno dei più efficaci utilizzi del mezzo mai
visti fino ad allora.
Ma
le innovazioni tecniche che rendono incredibile questo film non
finiscono qui: Biancaneve introdusse infatti anche la
multiplane camera, tra gli strumenti più rivoluzionari per la
tecnica dell'animazione. Creata nel 1933 dal leggendario Ub Iwerks,
tra i primi e più importanti collaboratori di Disney, e testata con
successo nel bellissimo corto premiato con l'Oscar Il vecchio
mulino (1937), si trattava di un tipo di telecamera che
permetteva di sovrapporre vari piani di disegni l'uno sopra l'altro,
per poter così creare inquadrature più complesse e ricche di
dettagli e soprattutto rendere il senso della profondità degli
ambienti in cui i personaggi si muovevano.
L'uso massiccio di
questo strumento fu una delle armi segrete che resero questa
pellicola un miracolo tecnico: lo dimostrano scene da antologia come
quella in cui il cacciatore osserva da lontano un'inconsapevole
Biancaneve che raccoglie i fiori, dove la figura del cacciatore,
inserita come parte dello sfondo e pertanto immobile, assume così la
funzione di un sinistro presagio alla rottura di quell'innocente,
idilliaco equilibrio, cosa che avverrà di lì a pochi minuti.
Come
non parlare poi della scena immediatamente successiva, che vede una
terrorizzata Biancaneve scappare nel bosco, in un turbinio di
immagini terribili che la mente spaventata della ragazza proiettano
tutt'attorno a lei. Ma tutto questo dura poco, e presto, con
l'attenuarsi delle sue emozioni, si attenua anche il terrore, e quel
bosco che appariva tanto minaccioso si trasforma presto un rifugio
sicuro e sereno, in cui la natura accoglie letteralmente la nostra
eroina appianando le sue paure. Un vero capolavoro di tecnica e
tensione, reso possibile dall'utilizzo della multiplane camera
all'apice del suo potenziale. Da manuale di cinema.

Sono
davvero un'infinità le minuzie tecniche da apprezzare. Una delle più
interessanti riguarda il lavoro svolto dall'inchiostratrice Helen
Ogger, che per dare colore alle guance della protagonista applicò a
mano su ogni singolo fotogramma del trucco rosso utilizzando dei
batuffoli di cotone posti in cima a delle matite. Un lavoro che
richiese una perizia e un impiego di tempo tali che non venne mai più
adoperato per i lavori futuri dello studio, anche perché Ogger
lasciò quest'ultimo nel 1941, e nessun altro che vi lavorasse era in
grado di svolgerlo. Pazzesco.
A
rivederlo con occhi moderni, è interessante notare come questo film,
il primo dei cosiddetti “classici Disney”, introducesse già
tutti gli elementi che costituiranno la “formula” a cui lo studio
verrà associato per i decenni a seguire: prima di tutto, il musical,
con i personaggi che esprimono i loro sentimenti cantando. Qualcosa
con cui tutti oggi
abbiamo familiarità in ambito animazione, e che
all'epoca rappresentò per Disney l'apice delle possibilità creative
del sonoro, con cui egli aveva cominciato a sperimentare fin dai
tempi di Steamboat Willie, una decina di anni prima. Le
canzoni, scritte da Frank Churchill e dal co-regista Larry Morey,
sono parte irremovibile dell'immaginario collettivo, e accompagnano
alcune delle sequenze più iconiche del film, come i sette nani che
tornano dalla miniera cantando Hey-oh. Ma oltre alle canzoni,
le musiche in generale, di Paul J. Smith e Leigh Harline, sono parte
integrante dell'esperienza sensoriale dello spettatore, un elemento
fondamentale ancora oggi considerato tra i più importanti. A
sottolineare la sua iconicità, basti pensare che la colonna sonora
di Biancaneve, tra le altre cose candidata agli Oscar, fu la
prima in assoluto ad essere messa in vendita in America.
Dopo
questi quattro anni di produzione, che definire intensi sarebbe
riduttivo, toccava ora a Disney affrontare il banco di prova più
difficile: quello del pubblico. Per via dei vorticosi costi e
dell'enorme manodopera impiegata, il flop era dietro l'angolo, e
avrebbe comportato indubbiamente il fallimento dell'intera azienda.
La
leggendaria prima del film il 21 dicembre 1937 al sontuoso Carthay
Circle Theatre di Los Angeles, tra i cinema più popolari dell'epoca,
vide la sentita partecipazione personalità come Judy Garland,
Charles Laughton e Marlene Dietrich. Una volta terminati quei
maestosi 83 minuti, l'intero pubblicò reagì con una standing
ovation. Walt ce l'aveva fatta.
Il
film aveva conquistato tanto la critica quanto il pubblico,
totalizzando circa 7 milioni di dollari di incassi alla sua prima
uscita nei cinema, avvenuta in maniera capillare a partire dal
gennaio 1938, e ancora di più guadagnerà con i continui ritorni in
sala nei decenni successivi, fino al 1993. Fu il film sonoro di più
grande successo all'epoca e, al netto dell'inflazione, il film
d'animazione dal più alto incasso della storia ancora oggi.
La
critica dell'epoca paragonò l'importanza di Biancaneve e i sette
nani a quella di Nascita di una nazione, venne elogiato da
un grande artista come Charlie Chaplin, mentre Sergei Eisenstein lo
proclamò addirittura “il più grande film mai fatto”.
Ai
premi Oscar del 1939 Disney fu premiato con un Oscar speciale come
riconoscimento di questo grande traguardo. O meglio, sette piccoli
Oscar e uno a grandezza normale, a imitazione degli otto protagonisti
del film.
Questo
inaspettato successo fu decisivo nel mettere in moto l'industria
dell'animazione a livello mondiale, rendendola più simile a quella
che conosciamo oggi: i fratelli Fleischer decisero finalmente di
seguire la scia producendo il loro primo lungometraggio, I viaggi
di Gulliver del 1939, distribuito dalla Paramount, che si rivelò
un successo e spinse lo studio a produrre due anni dopo Hoppity va
in città, secondo e ultimo lungometraggio dei Fleischer, che
chiusero baracca e burattini a causa di un catastrofico risultato al
botteghino, complice anche lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Nel frattempo, in Italia, Mussolini, appreso nel 1935 dell'idea di
Disney, ordinò la fondazione della C.A.I.R. (Cartoni Animati
Italiani Roma) con la quale tentò di battere gli americani sul tempo
producendo quello che sarebbe dovuto essere il primo film
d'animazione italiano, Le avventure di Pinocchio, mai
completato a causa degli scarsi mezzi a disposizione e della generale
disorganizzazione del progetto. Ironia della sorte, Walt Disney
acquisì i diritti del romanzo di Collodi per realizzarne la sua
versione nel 1940. Ma di questo vi parlerò in futuro...
E,
a proposito di Italia, il film uscì alla fine del 1938 anche nel
nostro territorio, colonie comprese, con un adattamento italiano
profondamente diverso dal tono originale dei dialoghi inglesi. In
linea con il gusto melodrammatico e solenne dell'Italia fascista, i
dialoghisti italiani Vittorio Malpassuti e Alberto Simeoni si
servirono di termini aulici e dialoghi in rima per conferire un'aura
di liricità in più.
Tali
scelte risultarono ben presto obsolete, e nel 1972, anche per volontà
della Disney stessa, si realizzò un nuovo adattamento, curato dal
veterano Roberto De Leonardis, e di conseguenza un nuovo doppiaggio,
con Melina Martello a sostituire l'originale Rosetta Calavetta (colei
che nel 1961 diede la voce a Crudelia De Mon in La carica dei 101)
per la voce di Biancaneve.
Ma
naturalmente la prova più ardua, ancora più di quella del pubblico,
è quella del tempo. Come appare oggi il primo classico Disney, a
distanza di esattamente 85 anni?
Può
sembrare incredibile, ma questa semplice fiaba per ragazzi del 1937
risulta ancora attuale, e non ha perso un briciolo di smalto. Le
emozioni base con cui essa gioca e che costituiscono la sua linfa
vitale, sono quelle che ancora oggi ognuno di noi ha fin da bambino:
chi di noi da piccolo non ha provato terrore nella già citata scena
del bosco? Chi non ha provato sollievo in quella immediatamente
successiva? Chi non si è terrorizzato alla scena della
trasformazione della strega cattiva? Chi non ha pianto durante la
scena del funerale, ancora oggi uno dei maggiori impatti emotivi mai
visti in animazione?
E,
infine, chi non ha provato un immenso senso di felicità e sollievo
nel finale? Un finale idilliaco, canonico, che ad alcuni cinici e
disillusi fruitori dei nostri tempi potrà risultare scontato e
datato, ma che rimarrà in realtà per sempre universale. Del resto,
lo scopo primario e primigenio di ogni essere umano non è forse
quello di vivere “per sempre felici e contenti”?
Per
questi e mille altri motivi, Biancaneve e i sette nani è un
capolavoro senza tempo, una pietra miliare della storia del cinema
quanto di quella dell'animazione, oltre che un pezzo d'infanzia di
più di una generazione, da quella dei nostri nonni a quelle a
venire.
Si
chiude dunque la prima puntata di quella che sarà una monografia
talmente lunga e impegnativa che non potrò fare a meno di alternarla
con altre, che aggiornerò con la calma e la procrastinazione che
contraddistinguono tutto quello che faccio. Dandovi appuntamento alla
recensione di Pinocchio (se mai arriverà), vi ringrazio con
sincero entusiasmo per essere passati su questi lidi. A presto!
Dati tecnici
- Regia: David Hand (supervisore), Perce Pearce, William Cottrell, Larry Morey, Wilfred Jackson, Ben Sharpsteen
- Anno: 1937
- Paese di produzione: Stati Uniti d'America
- Casa di produzione: Walt Disney Pictures
- Musiche: Frank Churchill, Leigh Harline, Paul J. Smith